
Schiavitudine.
A cosa mi riferisco? A tantissime cose. Molti si lamentano dello scempio al quale assistiamo ogni giorno, legato alla deriva sociale e culturale che imperversa nel mondo; tuttavia, pochi si rendono conto che tutto questo non ha a che fare solamente con la questione, ad esempio, degli LGBT, bensì con altro, molto altro. Il ribaltamento valoriale in atto non è esclusivamente un fenomeno di costume, se così vogliamo chiamarlo, bensì un qualcosa che abbraccia tutta la nostra vita.
«La prima cosa che ruba l’usuraio è il tempo.»
Queste parole del grande Giacinto Auriti sarebbero da scrivere su tavole di pietra e ben si uniscono al presupposto dal quale ero partito nell’articolo intitolato “Colpirli al cuore”:
«Non basta esistere per vivere, bisogna essere esistenti.»
Cosa significa essere esistenti? Qualcuno potrà dire che la risposta è soggettiva, ciò che può valere per una persona, potrebbe non valere per un’altra, ma ne siamo assolutamente certi? Siamo sicuri che non ci siano dei pilastri in seno all’essere umano che, qualora venissero spostati, snaturerebbero l’uomo in ogni sua parte a prescindere dalla soggettività?
Schiavitudine non è solo una parola, ma un modo per descrivere quello che è l’approccio esistenziale che gran parte delle persone ha nei confronti della vita. Un approccio da schiavi prima ancora di essere schiavi. Vi porto un esempio inerente ad un episodio al quale mi è capitato di assistere, e ve lo espongo proprio attraverso un dialogo avvenuto in quel momento. Due persone, A e B, durante una pausa lavorativa che fumano una sigaretta.
A: «Lo sai che mi ha chiamato il mio collega dicendomi di fare questo lavoro mentre lui era a casa in Smart Working per la madre? Lui si prende lo Smart ogni volta che gli serve.»
B: «Sai come funziona, non sono più i tempi di una volta.»
A: «Quando mio padre stava male ed era in ospedale che poi è morto, io non potevo prendermi un giorno perché me lo facevano pesare e facevo i salti mortali per stargli dietro con il poco tempo che avevo. Questi qui, invece, quando gli serve, eccome se si prendono i giorni o lo Smart… è una vergogna.»
B: «Lo so, hai ragione, ma cosa ci vuoi fare?»
Ora, questo è un esempio reale di altri mille che potrei fare. La domanda è la seguente: è normale che, al di là di come la si pensi dello Smart Working, sia in errore colui/colei che mettono al primo posto la propria vita e i propri affetti e non il lavoro? Una domanda lecita poichè, al di là delle mie esperienze, sento le stesse cose dalla stragrande maggioranza delle persone con cui interagisco, dentro e fuori dal mio contesto cittadino o nazionale, persino all’estero. È normale che in errore non siano le persone che si sacrificano “sull’altare della patria” lasciando andare il resto di sé stessi e della loro vita, ma gli altri?
No, questo non può essere considerato normale. Sono tantissime le persone che non danno priorità alla vita stessa, ai propri affetti, al tempo che non tornerà mai indietro, ma a tutt’altro. Un po’ per cultura, e quindi a causa di una forma mentis sbagliata, frutto di una rieducazione post-guerra che ha insegnato che il lavoro è tutto, mentre il resto non conta nulla, ma non solo, poiché ciò accade anche a causa di una volontà di mettere in secondo piano tutto ciò a cui si è fatto riferimento poc’anzi. E questo avviene anche perché, a quanto pare, pesa prendersi cura dei propri cari, siano essi figli o altro.
Non è forse vero che sono in tantissimi i genitori che scaricano i figli (specie quelli piccoli) dalla babysitter o al Nido o Dio solo sa che altro, perché devono correre a lavorare? Per cosa? Uno stipendio di 1200 euro per fare gli schiavi, fare magari dodici ore in nome di una indipendenza fittizia (non è lo stipendio che ti rende libero ma la facoltà di poter scegliere che cosa fare della tua vita e del tuo tempo, che è diverso), per spenderli poi in benzina magari per andarci a lavorare, per pagare il pranzo, permettersi una cena fuori chissà quando, mentre i figli vengono cresciuti da altri, lontani dai genitori. E magari vaccinati, già che ci siamo. Però siamo indipendenti! Però il lavoro! Il lavoro! Non fai straordinari? Sei una nullità. Non sei disposto a sacrificare il tempo con i figli, con la moglie, la compagna o con i tuoi amici? Oppure per le tue passioni, le cose che ami fare? Non sei disposto? E allora non sei degno di rispetto.
Ammettere come normale tutto questo non è da esseri umani senzienti, ma da macchine.
Unendo quanto riportato nell’articolo citato all’inizio “Colpirli al cuore” con quanto stiamo affrontando ora, si evince come le persone si approccino all’esistenza, alla vita, volontariamente da schiavi. Cioè, credono che lavorare, comportarsi da bravi cittadini e rendersi schiavi e sacrificare tutto renda liberi, e ricercano sistematicamente questa schiavitù. L’esempio riportato prima, come i temi affrontati nell’altro articolo ne sono un esempio lampante.
È un’umanità che è impregnata di consumismo e materialismo sfrenati che cancellano tutto il resto, eliminando ogni traccia di principi e valori. Un’umanità che, piuttosto che vivere, preferisce sopravvivere; piuttosto che vivere del suo tempo, lo sacrifica; piuttosto che prendersi cura dei propri cari, dei propri figli, preferisce vivere da schiava al fine di poter dire di essere indipendente, senza avere la possibilità reale di scegliere; un’umanità che non si fa nessuno scrupolo nel rinchiudere il proprio genitore (ancora sano, nonostante gli acciacchi) in una casa di riposo per liberarsi del peso perché non ha tempo per lui.
Prendersi cura di un figlio è troppo pesante, mentre fare una vita ingrata per una miseria (o per la carriera, senza comprendere che quando non serviamo più torniamo ad essere meno di zero e ci accorgiamo che tutto quello che abbiamo fatto, a parte per il denaro, non ci ha portato a niente, o forse qualche soddisfazione che va a tappare le frustrazioni personali), allora va bene.
Li vogliamo spendere due soldi per il giocattolo all’ultimo grido per colmare queste negligenze affettive? Oppure per una badante che ogni tanto viene a prendersi cura di nostra madre o nostro padre? I soldi possono tutto, no?
In sostanza, tutto ciò che non dovrebbe essere un peso viene preso come tale, mentre viene scambiata per libertà tutto ciò che libertà non è affatto. La vita, il tempo, le passioni, gli affetti, sono visti come una restrizione, mentre il resto, cioè il sacrificio, il lavoro, il mettersi in fila e obbedire ad un’autorità superiore ecc., vengono visti come libertà.
Ed ecco il ribaltamento valoriale. Quando si dice che la normalità è la vera diversità non sono parole a caso.
Tutto ciò che normale non è, lo diventa e viceversa. Così come viene presa come una cosa normale il fatto di indebitarsi. È normale indebitarsi? È normale impiccarsi per avere un’automobile o una casa? La maggioranza delle auto che circolano sono state acquistate tramite finanziamento; la maggioranza delle case acquistate tramite mutuo di venti o trent’anni (cioè una parte considerevole della vita passata a pagare per avere un tetto sopra la testa, ma è normale?); la maggioranza dei cellulari in circolazione sono stati acquistati a rate; così come la maggioranza dei televisori, lavatrici, frigoriferi e chi più ne ha più ne metta.
Anche qui dobbiamo chiederci se è davvero tutto normale. O forse la verità è che invece di “ungere” il sistema per ciò che offre ed essere sottomettessi peggio delle bestie, bisognerebbe fare di tutto per cambiarlo, cioè agire? E quindi rifiutare tutto questo? Qualcuno dirà: «chi sei tu per giudicare?» Ma io non sto giudicando, sto dicendo semplicemente quello che penso, né più né meno. Può piacere o non piacere, resta il fatto che non è il frutto della mia immaginazione, ma una realtà acclarata e tangibile.
Domanda: tutto questo paga da un punto di vista esistenziale? Non è vero, forse, che la maggioranza delle persone non è felice, ma angosciata, insoddisfatta, sempre piena di pensieri, disperazione, frustrazione, cose che portano spesso al disfacimento dei rapporti interpersonali, siano essi amicizie, amori o legami familiari, e che però i più opprimono colmando questi vuoti con tutto ciò che è effimero e non con ciò che serve? Siamo all’interno di una catena di montaggio che non ha nulla di umano. Uccide la vita, l’amore, il tempo, il creato, l’entusiasmo. In poche parole, uccide qualunque cosa al di fuori di sé stessa.
Quanti sono coloro che sono schiavi dell’alcool, del gioco d’azzardo, della droga o altro? Tutti necessitano di una valvola di sfogo che però finisce per far deflagrare tutto, poiché improntata sul soddisfacimento di un bisogno temporaneo da un lato, oppure di una finestra di libertà dall’altro che, in vero, porta dritti nell’oblio. Se non si ha bene a mente che cos’è l’essere umano, il valore del suo tempo e della vita stessa, difficilmente si potrà uscire dagli schemi che ci tengono confinati nella bolla che noi tutti definiamo vita. Come sosteneva Ezra Pound e come anche io stesso sostengo, una persona dovrebbe lavorare per ciò che sa fare, non per quello che deve fare o perché qualcuno ha deciso di creare un sistema per il quale la maggioranza – dati alla mano – svolge un lavoro che non gli piace solo ai fini di uno stipendio che si traduce in schiavitù perpetua. Sono due prospettive completamente diverse. Accettare come la seconda come una cosa normale è aberrante.
L’uomo e la sua vera natura, rifacendomi al preambolo iniziale, vengono fuori solo quando esso non solo esiste, ma è esistente; ciò significa quando pensa, agisce, crea laddove ha il tempo per poterlo fare. È naturale che se si toglie all’uomo il tempo per pensare, per respirare, automaticamente gli si toglie il tempo per vivere, relegandolo al ruolo di una macchina organica che produce per conto terzi, dedito al consumo, schiavo di un sistema al di sopra di lui e spoglio di qualsiasi facoltà cognitiva e spirituale.
Da qui è un attimo che la deriva dilaghi e quindi vada ad intaccare il resto, poiché tutto si mescola e diventa come il veleno di un serpente che lentamente, entra nel flusso sanguigno e intacca tutto il corpo.
Quando guardiamo alla Schiavitudine, alla deriva sociale, culturale e al ribaltamento valoriale a cui stiamo assistendo, non dobbiamo parlare soltanto di LGBT o di altro, perché non bisogna dimenticare che alla radice, le problematiche partono da molto più lontano e ci riguardano tutti, non solo certe categorie di persone.
Sì, rifiutare, cambiare, non accontentarsi più di sopravvivere e riprendere in mano la nostra umanità sono la risposta, ma il coraggio e la consapevolezza mancavano sessant’anni fa, quarant’anni fa, trent’anni fa così come mancano oggi giorno.
Ricordo che una volta Carmelo Bene, attore, regista, drammaturgo, filosofo, scrittore e poeta italiano di inestimabile valore, in una puntata del “Maurizio Costanzo Show”, fece un discorso che mi lasciò a bocca aperta non soltanto per la spontaneità e la veridicità delle sue parole, ma anche perchè, giacché lo abbiamo nominato, non era altro che una parte del pensiero di Ezra Pound che mai è stato così attuale come oggi. Nella didascalia, troverete il link al filmato integrale. Se avete due orette di tempo, guardatelo. Sarà un tempo che non tornerà mai indietro, ma sarà stato ben speso. A differenza del denaro.
Ci hanno insegnato che il tempo è denaro, ma non è così.
Il tempo è vita.
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