
PREMESSA
Ho aspettato a lungo prima di pubblicare questo articolo, scritto originariamente due anni fa. La ragione di tanta attesa risiede nell’incredibile censura che viene sistematicamente applicata ogni volta che si cerca di dipanare la nebbia che avvolge questa parte di storia che ancora oggi viene raccontata secondo dei dictat che sono piuttosto distanti dalla verità.
La Seconda Guerra Mondiale è stato il più grande disastro del secolo scorso. Con un bilancio di settanta milioni di morti, è ricordata come il più grande conflitto mai combattuto nella storia. Ad onore della memoria dei caduti, credo sia legittimo porsi alcune domande: Chi ha voluto questa guerra? I fatti sono andati realmente come ci hanno raccontato?
Sappiamo che la storiografia ufficiale ha occultato per decenni fatti che avrebbero dovuto essere divulgati. Ci sono uomini che si sono battuti per far sì che quella verità venisse alla luce e hanno pagato a caro prezzo.
Oggi siamo qui per dare spazio a quelle voci e ricostruire una storia che non è andata come tutti la conosciamo. Lo scopo? Far sì che le persone si pongano delle domande in merito ad uno dei fatti più eclatanti della storia.
Prima di iniziare si precisa che, a causa degli argomenti sensibili che verranno trattati e a fronte delle conclusioni a cui si arriverà durante la ricostruzione dei fatti, questo articolo non vuole in alcun modo essere un attacco a nessuna etnia o religione di qualsiasi natura, bensì il tratteggio di uno spaccato di verità che non è mai stato preso in considerazione su larga scala.
Si ribadisce il massimo rispetto per tutti, indipendentemente dall’appartenenza, questo deve essere chiaro fin da principio.
Si segnala, inoltre, che la bibliografia completa verrà esposta alla fine dell’articolo, ossia al termine della parte II. In essa non verranno inseriti solo i testi citati nell’articolo, bensì tutti i saggi che ho letto sull’argomento nel corso degli anni.
Buona lettura.
UN’INTRODUZIONE CONTRO STORICA
Il filmato che avete appena visto è l’inizio del documentario di Dennis Wise, regista e ricercatore americano, intitolato “Adolf Hitler The Greatest Story Never Told” e doppiato in italiano da Gian Paolo Pucciarelli. Lo potete visionare sul noto portale Internet Archive in lingua inglese a questo indirizzo:
https://archive.org/embed/adolf-hitler-the-greatest-story-never-told-dennis-wise
Dunque, la premessa appena esposta ci indica già di per sé le ragioni per le quali si combattono le guerre. Tuttavia, stando alle fonti ufficiali, la Seconda Guerra Mondiale sarebbe deflagrata a causa di un pazzoide animato dalla volontà di conquistare il mondo. Capire la ragione principale per la quale la visione classica che abbiamo della storia è fallace rispetto ai fatti realmente accaduti risulta fondamentale al fine di una comprensione più profonda della storia nel suo insieme, non necessariamente solo di questo spaccato di cui stiamo parlando.
Lo storico e scrittore Maurizio Barozzi, all’inizio del saggio intitolato “La guerra del sangue contro l’oro” ci da un’idea chiara della versione addomesticata della Seconda Guerra Mondiale che è stata venduta ai popoli:
«Semplificando e sintetizzando quanto viene spacciato dalla storiografia ufficiale, la Seconda Guerra Mondiale sarebbe dipesa dalle velleità di dominio planetario di un esaltato, Hitler che, sostenuto dal militarismo (inizialmente titubante, ma poi sempre più convinto dai ricorrenti successi hitleriani) e dalla grande industria tedesca (bramosa di espansione), aveva avuto per anni, con la sua spregiudicatezza, buon gioco sulle nazioni democratiche, grazie anche all’ingenua politica inglese di appeasement negli anni ’30. Ma Hitler, prosegue questa storiella per ingenui, inebriato dai successi conseguiti con i suoi colpi di mano: rimilitarizzazione della Renania, Anschluss in Austria l’altro (tra desiderato dalla stragrande maggioranza degli austriaci), Sudeti e occupazione della Cecoslovacchia, ecc., non riuscendo più a controllarsi nelle sue conquiste ai danni dei paesi limitrofi (che poi non erano “conquiste” ma semmai riappropriazioni di quanto precedentemente rapinato alla Germania), arrivò all’invasione della Polonia, provocando la legittima reazione armata delle grandi democrazie. Uno scenario analogo viene disegnato per gli USA alle prese, si dice, con i fanatici militaristi che avevano preso il potere in Giappone e minacciavano i mercati ed i commerci nel sud est asiatico tendendo ad assoggettare ed occupare le nazioni asiatiche a cominciare dalla Cina. Una versione questa che capovolge fatti e responsabilità ed arriva a legittimare le ingerenze, le prepotenze e le pretese americane per quei luoghi a loro lontani che, semmai, avrebbero dovuto costituire materia riservata agli asiatici. L’Italia, infine, ci illustra ancora questa storiografia mendace, grazie ad an dittatore megalomane e nonostante non fosse in condizioni di sostenere una guerra, fece il classico passo più lungo della gamba, illusa dalle stupefacenti vittorie tedesche e si gettò a capofitto nel baratro del conflitto. Insomma, da anni, ci viene riproposta niente altro che la vecchia propaganda di guerra Alleata con la solita distinzione tra buoni e cattivi, tra guerrafondai aggressori e smaniosi di dominare il mondo e pacifiche nazioni democratiche aggredite. Niente di tutto questo, però, corrisponde alla verità ed a come sono effettivamente andate le cose, perché le cause della guerra, gli eventi che la determinarono e la sua dinamica complessiva avevano altre motivazioni e si erano svolti in ben altro modo.»
Se diamo uno sguardo al mondo dal Secondo dopoguerra in poi, visto e considerato la struttura di potere globale incentrata da tutta quella serie di istituti mondialisti e organizzazioni sovrannazionali che fungono da punte di lancia dell’alta finanza internazionale, si può riconoscere il momento esatto in cui si sono sgretolati gli equilibri globali che sancirono la decisione di scatenare una guerra contro gli stati europei.
Dunque, più o meno nel 1937, quando la Germania, senza l’ausilio di oro e di moneta, lavorò per impostare gli scambi internazionali anche sulla base del baratto, sostituendo oro e moneta con tecnologia e lavoro, andando così ad eliminare il concetto di profitto e di “intermediazione bancaria”.
In un discorso di Adolf Hitler riportato nel saggio del compianto Stephen Mitford Goodson (assassinato nel 2017) intitolato “Storia delle banche centrali e dell’asservimento del genere umano”, il cancelliere tedesco asserisce che:
Non di meno fu la riforma del sistema economico e sociale avviata da Adolf Hitler, completamente in contrapposizione a quelle che erano le visioni dei grandi banchieri internazionali. Qualcuno potrebbe pensare che questa sia pura fantasia, eppure si hanno testimonianze dirette. Lo stesso Winston Churchill, nel 1960 disse:
«Il delitto imperdonabile della Germania prima della Seconda Guerra Mondiale fu il suo tentativo di sganciare la sua economia dal sistema di commercio mondiale, e di costruire un sistema di scambi indipendente di cui la finanza mondiale non poteva più trarre profitto.»

Un’affermazione piuttosto forte da parte di un uomo che viene considerato dai più come un simbolo della vittoria sul male assoluto.
Il generale J. P. C. Fuller, storico di quella guerra ebbe a dire che:
«Quel che ci spinse in guerra contro Hitler non fu la sua dottrina politica; la causa stavolta fu il suo tentativo coronato da successo di dare vita a una nuova economia. La prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti a interesse a nazioni in difficoltà economica. L’economia di Hitler significava la sua rovina. Se gli fosse stato permesso di completarla con successo, altre nazioni avrebbero certo seguito il suo esempio, e sarebbe venuto il momento in cui tutti gli stati senza riserve auree si sarebbero scambiati beni contro beni; così non solo la richiesta di prestiti avrebbe perso valore, ma i prestatori finanziari avrebbero dovuto chiudere bottega. Questa pistola finanziaria era puntata in modo particolare alla tempia degli Stati Uniti.»

E ancora, abbiamo le dichiarazioni di James Baker, Segretario agli esteri del governo americano del 1992:
«La Seconda Guerra mondiale era solo una misura economica preventiva.»

Si potrebbe andare avanti per giorni, ma servirebbe a qualcosa? Citiamo ancora il Barozzi:
«Ecco allora venir fuori uno dei motivi veri di quella guerra: una nazione che rifiuta di indebitarsi, che cerca di tagliare fuori le intermediazioni bancarie negli scambi internazionali, che oltretutto interrompe il signoraggio delle cosiddette Banche Centrali, è una minaccia mortale per i Banksters.»
Da questa indispensabile premessa è dunque possibile risalire alla verità.
Adolf Hitler: un pazzo che voleva conquistare il mondo?
Non si può iniziare questo viaggio senza parlare di un momento fondamentale della storia che risale al primo dopoguerra. A questo proposito, il primo contributo di estrema importanza è quello di Gian Paolo Pucciarelli estratto dal saggio “Segreto Novecento”. L’autore, con documenti alla mano, spiega che:
«Nel nuovo scenario politico del dopo Versailles, assumeva dunque rilievo, analogo a quello attribuito alla Russia Bolscevica, il progetto di costituzione dello Stato ebraico in Palestina, degno probabilmente di scarsa notorietà alla Conferenza di Parigi e cautamente omesso dal Presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, nell’enunciazione dei celebri “Quattordici Punti”, essenziale catechismo da apprendere e seguire, da parte di chiunque, in un modo o nell’altro, si trovasse alla guida di governi e popoli nell’auspicato, futuro “mondo di pace”. È forse il caso di aprire una parentesi, semplicemente per riportare il punto di vista di un ebreo americano, che a suo tempo faceva parte dell’Organizzazione Sionista Mondiale, di cui egli fu socio fondatore, insieme a Theodor Hertzl, nel 1896. Costui, in un suo volumetto di una cinquantina di pagine scritto negli Anni Trenta, rendeva noto a tutti coloro che avrebbero potuto essere interessati all’argomento, più o meno, quanto segue: “Gli accordi relativi alla fondazione di uno Stato ebraico in Palestina, in chiaro contrasto con gli interessi delle popolazioni islamiche palestinesi, sarebbero stati sottoscritti in forma ufficiosa, nel dicembre del 1916, dal premier inglese David Lloyd George e da Woodrow Wilson, in seguito a non meglio precisate pressioni, esercitate sul presidente americano da tale Samuel Untermeyer, titolare di un potente studio legale newyorkese ed esponente di spicco dell’Organizzazione Sionista Mondiale, il quale avrebbe assicurato (bontà sua!) l’intervento degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale a fianco della Gran Bretagna, a condizione che il governo inglese “garantisse” la futura fondazione dello Stato di Israele. Il felice esito di questi accordi (gli Stati Uniti intervennero nella Prima Guerra Mondiale il 6 aprile 1917) resi più tardi ufficiali nella nota Dichiarazione Balfour del 2 novembre, sarebbe però dipeso in massima parte, da un’altra, apparentemente curiosa, intesa, raggiunta in singolare coincidenza con la garanzia che i britannici furono costretti a offrire per il costituendo Stato ebraico: l’intesa “giudaico-bolscevica.” Il libretto in questione che reca il titolo di “Zionism The Hidden Tiranny”, non è altro che la confessione di Benjamin Freedman (questo il nome dell’autore), il quale sostiene che l’Unione Sovietica (la cui costituzione avrebbe dovuto essere preliminare alla fondazione dello Stato ebraico in Palestina) sarebbe stata una creatura del Potere Finanziario Ebraico (detto anche Talmudista), imperante negli Stati Uniti fin e nel mondo intero dai tempi della guerra civile americana e teso a condizionarne la politica, al fine di estendersi e acquisire l’assoluto controllo della finanza internazionale, dei mezzi d’informazione e comunicazione e delle risorse energetiche mondiali.»
A questo, si allega un estratto tradotto dal saggio della storica e ricercatrice americana Ellen Hodgson Brown intitolato “The Web Of Debt”:
«Il Trattato di Versailles nel gennaio 1919 aveva imposto al popolo tedesco risarcimenti che lo avevano distrutto, con i quali si intendeva rimborsare i costi sostenuti. La speculazione sul marco tedesco aveva provocato il suo crollo, affrettando l’evento di uno dei fenomeni d’inflazione più rovinosi della modernità. Al SUO apice, una carriola piena di banconote, per l’equivalente di 100 miliardi di marchi, non bastava a comprare nemmeno un tozzo di pane. Le casse dello Stato erano vuote ed enormi quantità di case e di fattorie erano state sequestrate dalle banche e dagli speculatori. La gente viveva nelle baracche e moriva di fame. Nulla di simile era mai accaduto in precedenza: la totale distruzione di una moneta nazionale, che aveva spazzato via i risparmi della gente, le loro attività e l’economia in generale. A peggiorare le cose arrivò, alla fine del decennio, la depressione globale. La Germania non poteva far altro che soccombere alla schiavitù del debito e agli strozzini internazionali. Almeno così sembrava.»
Perché partire da questo punto? Perché confondere la volontà di un uomo di voler risollevare il proprio popolo, con quella di conquistare il mondo, non è intellettualmente onesto, tanto più a fronte dei movimenti della finanza internazionale nel dietro le quinte. Il tavolo sul quale è stata pianificata la Prima Guerra Mondiale e le successive direttive su come avrebbe dovuto essere ridisegnata l’Europa, non è diverso da quello sui cui è stata progettata la guerra successiva.
I grandi banchieri internazionali, motivati a trasformare il mondo intero in una loro creatura fatta e finita, hanno messo in moto una macchinazione mai vista nella storia. Non importava quante vite avrebbero dovuto sacrificare per raggiungere i loro scopi. Quali? La Prima guerra mondiale non era servita soltanto a rimpinguare le tasche dei banchieri, i quali, subito dopo la fine del conflitto, iniziarono a istituire banche centrali controllate da privati sul modello della Bank of England e della Federal Reserve, bensì, ebbe la funzione di distruggere gli imperi centrali al fine di ridisegnare un’Europa nuova che avrebbe dovuto assoggettarsi ai loro dettami monetari, sociali e culturali. Ma non solo, poiché la Conferenza di Versailles fu una vera rapina nei confronti della Germania. Il cosiddetto piano Dawes fu un tentativo dopo la Grande Guerra per la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) di scendere a compromessi e riscuotere il debito delle riparazioni di guerra dalla Germania.
Esso (come proposto dal Comitato Dawes, presieduto da Charles Dawes) fu un tentativo nel 1924 di risolvere il problema delle riparazioni che aveva assillato la politica internazionale dopo la Prima guerra mondiale e il Trattato di Versailles (la Francia era riluttante ad accettarlo, e così ottenne oltre il 50% delle riparazioni). Stando al piano Dawes, dal 1924 al 1929 la Germania ottenne 2,5 miliardi di dollari dagli Stati Uniti e 1,5 miliardi di dollari dalla Gran Bretagna.

Figura chiave di questo piano fu Hjalmar Schacht, il quale svolse un ruolo di primo livello, tant’è vero che nel 1929, riassunse i risultati affermando che in cinque anni la Germania ottenne più prestiti esteri che gli Stati Uniti nei 40 anni precedenti la Prima guerra mondiale. In tutto questo bisogna ricordare che durante il decennio degli anni ‘20, la Germania, sotto la Repubblica di Weimar, era in condizioni economiche, finanziarie e sociali disastrose, la povertà regnava sovrana, l’inflazione alle stelle, i cittadini tedeschi si videro espropriare le case da parte delle banche in mano ai Wall Stretters, per non parlare della deriva morale che vedeva persino la promozione della pornografia, della pedofilia e del fenomeno Gender.
A Berlino nel 1919, nacque la prima clinica Transgender (Institute of Sex Research) grazie agli uomini Arthur Kronfeld e Magnus Hirschfeld.



Nel documentario intitolato “Adolf Hitler – The Greatest Story Never Told” che abbiamo citato all’inizio, l’autore Dennis Wise, con documenti e testimonianze alla mano, afferma che:
«La crisi del ’29 aveva già aggravato la situazione economica della Germania, nel 1932 si contavano ben sette (!) milioni di disoccupati contro una popolazione attiva (ossia di lavoratori occupati) di venticinque milioni di persone (ndr), la maggioranza del popolo viveva in condizioni disperate, si era alquanto diffuso l’accattonaggio poiché la recessione e la svalutazione del Marco avevano provocato un processo di annientamento del patrimonio pubblico e privato tedesco. Le forze democratiche si erano dimostrate incapaci di trovare soluzioni ai gravi problemi che affliggevano la Germania. Per milioni di persone, la sola speranza era Adolf Hitler.»
Si pensi che in Germania, a quel tempo, sotto la “democrazia” della Repubblica di Weimar, una fetta di pane costava 500.000 marchi.
Dunque, il piano Young nella pratica non era altro che un programma atto a saldare i debiti di riparazione tedeschi dopo la Prima guerra mondiale scritto nel 1929 e adottato formalmente nel 1930.
Prima di proseguire, si vuole evidenziare che il ’29 fu un anno cruciale e anche in questo caso, risulta fondamentale fare un collegamento che ben si lega alle vicissitudini affrontate sino adesso e lo facciamo citando nuovamente il Pucciarelli e “Segreto Novecento”:
«Alla Conferenza di Parigi trionfava dunque la volontà di affermare il diritto di autodeterminazione dei popoli e il conseguente smembramento degli Imperi, Germanico e Austro – Ungarico, otteneva il plauso delle forze liberali. Insieme alla rivincita francese, dopo la sconfitta nella guerra franco prussiana, si celebrava a Versailles il pieno successo del piano concordato nel ’16 tra Londra e Washington, che prevedeva, quale logica conseguenza del primo conflitto mondiale, l’eliminazione di due temibili concorrenti dalla scena delle Grandi Potenze, la Russia Zarista e l’Impero di Guglielmo II. Ma i maggiori profitti dal business della guerra li avrebbe ricavati la Finanza nordamericana, propensa a mantenere la propria presenza sul mercato europeo anche in tempo di pace e a potenziare i mezzi finanziari delle Corporations, ad essa indissolubilmente legate e pronte ad inserirsi di forza nei settori economici che, nel periodo bellico, competevano al War Industry Board. Per quanto un decreto presidenziale ne avesse imposto nel 1919 lo scioglimento, il WIB come prima accennato continuava a operare, grazie alle banche statunitensi, per dare inizio al già descritto saccheggio della Repubblica di Weimar. Quest’ultimo sarebbe stato agevolmente completato, se il neoeletto presidente della Reichbank, Hjalmar Schacht , non avesse disposto il divieto di utilizzare il Rentenmark per i pagamenti internazionali (vedi “The Magic of Money” di Djalmar Horace Greely Schacht – 1967). Ai vertici dell’International Corporate Banking (Banche e consorelle multinazionali) sarebbe stato dunque deciso, d’intesa con la Federal Reserve Bank, di determinare, per mezzo del cosiddetto metodo del “Short Selling”, un crollo delle quotazioni dei titoli azionari a Wall Street, tale da ripercuotersi sulle altre borse internazionali. Sul finire degli Anni Venti, grazie alla “provvidenziale” crisi finanziaria, seguita poi dal periodo della depressione economica mondiale, i potenti Gruppi Rothschild – Rockefeller e Morgan Guaranty Trust avrebbero deciso di rivedere le proprie esposizioni finanziarie, direttamente collegate con la gestione del debito della Repubblica di Weimar e la massiccia partecipazione al capitale privato della Reichbank determinando in Germania le condizioni propizie a creare nuove opportunità di investimento, attraverso un regime legittimamente costituito, sul quale essi avrebbero potuto (almeno all’inizio) fare “affidamento”. Nella circostanza risultava chiaro che la crisi economica del 1929, serviva a ridurre la dispersione del cosiddetto flottante e a incrementare la concentrazione dei flussi finanziari, così da permettere alle principali Corporations americane di operare, sotto il controllo delle banche internazionali, secondo i criteri del New Deal rooseveltiano.»
Pucciarelli poi, con documenti alla mano, parla di una Clausola:
«La sensazione di essere vittime inconsapevoli di un disegno malvagio si era diffusa tra i popoli europei all’indomani della crisi economica del 1929… ciò che maggiormente turbava gli economisti sarebbe stata la pretesa, avanzata dalla finanza d’oltreoceano, di coinvolgere direttamente nel crack americano i governi europei, in particolare la Germania di Weimar, debitrice delle riparazioni di guerra… poiché il credito elargito dalle banche internazionali di Wall Street, si estendeva alle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale, come Gran Bretagna e Francia, beneficiarie dei cosiddetti prestiti di guerra, le condizioni create dalla crisi avrebbero imposto l’immediato riconoscimento delle diverse posizioni debitorie nei confronti degli Stati Uniti e giustificato la richiesta di nuove emissioni di bonds statali da parte delle potenze europee. Questo sarebbe avvenuto con la piena consapevolezza dei banchieri americani (Gruppo Morgan, Kuhn Loeb and Company e, per quanto attiene ai bond tedeschi, la Henry Schoeder and Co. di New York) che i titoli di stato esteri, negoziati attraverso la borsa newyorkese, non sarebbero stati onorati alla scadenza, perché la congiuntura conseguente alla crisi ne avrebbe reso impossibile il pagamento. La rinegoziazione dei titoli del debito pubblico estero nel mercato a breve termine interno avrebbe procurato liquidità sufficiente a pagare parte degli interessi pretesi dalle banche creditrici, ma ingigantito oltremisura l’ammontare del debito contratto dagli Stati europei. La crisi del ’29 avrebbe dunque reso necessario, non solo il riesame dei crediti vantati dagli Stati Uniti nei confronti delle potenze europee, ma anche obbligato queste ultime a provvedere in tempi brevi al regolamento delle rispettive posizioni debitorie. Il governo di Washington, infatti, avrebbe richiesto agli Stati debitori nuove emissioni di certificati del debito pubblico, la cui gestione sarebbe stata affidata alle banche creditrici, in vista della costituzione del New Deal. L’accettazione dei titoli dei Paesi debitori sarebbe stata subordinata alla sottoscrizione di una “clausola” che impegnava questi ultimi a giustificare qualsiasi iniziativa che il governo degli Stati Uniti avesse ritenuto necessario prendere a tutela degli interessi americani. L’accettazione di questo impegno, evidentemente formulato, perché in linea con la politica permissiva della Germania di Weimar nei confronti degli investitori statunitensi (si vedano i precedenti, ottimi, rapporti del Cancelliere filoamericano, Heinrich Bruning, con il governo di Washington dal marzo del 1930 al maggio 1932) non fu sottoscritta da Adolf Hitler nell’aprile del 1933, allorché, divenuto Cancelliere del III° Reich, rifiutò le allettanti e singolari offerte di finanziamento delle banche internazionali, miranti ad acquisire in questo modo cospicue quote del capitale della Reichsbank.»

Nel 1933 Adolf Hitler disse ai giornalisti americani che l’unica richiesta che aveva nei confronti degli Stati Uniti era che gli americani venissero a vedere la cultura e la bellezza della Germania Nazionalsocialista.
Come abbiamo potuto constatare fino ad ora, esiste un unico filo di Arianna che parte dal primo dopoguerra e arriva all’elezione di Hitler. Debiti, crisi economiche, povertà, un Europa in ginocchio, tanto più la Germania. Sembra quasi la fotografia in bianco e nero della situazione attuale. Certo, gli attori e le dinamiche sono diversi, ma la sostanza è la stessa. Perché era importante sottolineare tutte queste manovre finanziarie? Perché altrimenti non è possibile comprendere dove risiedono le ragioni dell’opposizione di Hitler una volta divenuto cancelliere, anche se nell’ultima parte dell’estratto appena citato si può intuire.
Ordunque, tutti questi piani, ivi compresa la crisi pianificata del ’29, avevano delle funzioni ben precise: creare profitti; disintegrare la Germania; ridisegnare l’Europa. Il piano Young venne presentato dal comitato guidato dall’industriale americano Owen D. Young, creatore ed ex primo presidente della Radio Corporation of America (RCA), che, all’epoca, prestava servizio contemporaneamente nel consiglio di amministrazione della Rockefeller Foundation, ed era stato anche uno dei rappresentanti coinvolti nel precedente accordo di ristrutturazione delle riparazioni di guerra, appunto il Piano Dawes del 1924.

La maggior parte delle società tedesche strategicamente importanti apparteneva al capitale americano o era in parte sotto il suo controllo, altri appartenevano a investitori britannici. I settori dell’economia tedesca della raffineria di petrolio e della liquefazione del carbone appartenevano alla Standard Oil (Rockefeller). Farbenindustrie AG, importante industria chimica, venne trasferita sotto il controllo del gruppo Morgan; Il 40% della rete telefonica e il 30% delle azioni Focke Wulf appartenevano all’americana ITT; le major dell’industria elettrica di Radio e AEG, Siemens, Osram passarono sotto il controllo della General Electric americana; ITT e General Electric facevano parte dell’impero della famiglia Morgan, mentre il 100% delle azioni Volkswagen apparteneva alla Ford americana.
Quando Hitler salì al potere, il capitale finanziario degli “Stati Uniti” controllava praticamente tutti i settori strategicamente importanti dell’industria tedesca: raffinazione del petrolio, produzione di combustibili, chimica, costruzione di automobili, aviazione, ingegneria elettrica, industria radiofonica e gran parte della costruzione di automobili. Le principali banche tedesche, ovvero la Deutsche Bank, Dresdner Bank, Donat Bank e poche altre, erano sotto il controllo di Wall Street.
Il 30 gennaio 1933 Hitler fu nominato Cancelliere. Prima di allora la sua candidatura era stata studiata a fondo dai banchieri internazionali, Hjalmar Schacht infatti si recò negli Stati Uniti nell’autunno del 1930 per discutere la nomina con i suoi padroni e fu così che essa venne approvata in una riunione segreta dei finanzieri negli Stati Uniti.

A metà novembre del 1932, diciassette dei maggiori banchieri e industriali tedeschi inviarono una lettera al presidente Hindenburg esprimendo la loro richiesta di nominare Hitler cancelliere della Germania. L’ultima riunione di lavoro dei finanzieri tedeschi prima delle elezioni si tenne il 4 gennaio 1933 a Kölnat, nella casa del banchiere Kurt von Schröder. E fu così che salì al potere il Partito Nazionalsocialista. E quando ciò accadde Hitler iniziò la sua opposizione contro il sistema usuraio internazionale di cui si è accennato in precedenza. Appena eletto, egli annunciò il rifiuto di pagare le riparazioni del dopoguerra; tuttavia, Washington non si oppose a tale decisione e nemmeno l’Inghilterra.
Il fattore degno di nota è che Hitler salì al potere in Germania nello stesso momento in cui Franklin Delano Roosevelt entrò in carica negli Stati Uniti. I banchieri che hanno sostenuto il partito Nazionalsocialista sono gli stessi che hanno sostenuto Roosevelt, Chamberlain, Churchill e Stalin, con la differenza che Hitler, come si è accennato prima e come ci ha dato conferma lo stesso Churchill, si è mosso in tutt’altra direzione rispetto agli altri e vedremo il perché.
Lo storico e scrittore Gian Pio Mattogno, nel saggio intitolato “Le origini della Seconda Guerra Mondiale”, si pone una domanda molto semplice: Chi erano questi gruppi di interesse che dominavano la vita delle nazioni “democratiche” che vollero scatenare la guerra? L’autore scrive:
«Le vere ragioni del conflitto sono state riassunte mirabilmente da Piero Sella in “La madre di tutte le menzogne, il conflitto 1939 – 1945 al vaglio del revisionismo” pubblicato su “L’uomo libero”, n.67 nl maggio del 2009 pp 24 -25: I grandi gruppi finanziari internazionali non potevano correre il rischio di un’Europa autonoma, fuori dal loro controllo e governata da quei regimi fascisti che stavano raccogliendo un crescente consenso popolare. Uno dei temi che maggiormente disturbava gli ambienti demo-plutocratici era quello delle Banche Centrali, ossia delle banche autorizzate a emettere cartamoneta. Mentre nell’Occidente è lasciata mano libera ai privati, nel senso che le banche di emissione tipo la Federal Reserve sono società private le quali stampano denaro e lo prestano allo Stato accollandogli un interesse, il cosiddetto tasso di sconto, nella Germania nazionalsocialista e in modo meno esplicito nell’Italia fascista, la Banca Centrale è nazionalizzata. Il denaro, nella Nuova Europa, non appartiene più alle congreghe del cosmopolitismo, ma al popolo. Il mondo dell’usura e dei parassiti finanziari si sente minacciato nelle pieghe più intime del proprio portafoglio.»
«Ho detto più volte che il sistema monetario aureo, il concetto di fissare i tassi di cambio e via dicendo, erano principi antiquati che non ho, né avrei mai considerato come principi immutabili o di rilievo nell’economia. Per quanto mi riguarda, il denaro è sempre stato una moneta di scambio in virtù di un lavoro svolto, e il suo valore è sempre dipeso solo ed esclusivamente dal valore del lavoro svolto. Laddove il denaro non rappresenti il servizio reso, insisto, non ha assolutamente alcun valore.»
Per capire il significato di queste parole è necessario particolareggiare quello che è stato il miracolo economico tedesco targato Adolf Hitler – Hjalmar Schacht. In sostanza, Hitler attuò un programma di credito nazionale attraverso l’elaborazione di un piano di lavori pubblici. Tutti i progetti che erano destinati a essere finanziati includevano le infrastrutture dedite alla prevenzione contro gli allagamenti, la totale ristrutturazione degli edifici pubblici e privati, abitazioni comprese, e relativa costruzione di nuovi, la manutenzione e costruzione delle strade, così come la realizzazione di ponti, canali e strutture portuali.
Naturalmente, tutto ciò aveva un costo che Hitler, insieme ai suoi collaboratori, fissò a un miliardo di unità della valuta nazionale. Ciò voleva dire un miliardo di biglietti di cambio non inflazionati che Hitler e i suoi denominarono “Certificati Lavorativi del Tesoro”. Questa che altro non era che una sorta di moneta complementare, veniva stampata dal governo e non aveva come riferimento l’oro, bensì tutto ciò che possedeva un valore concreto, reale. Nello specifico si trattava di una ricevuta che veniva rilasciata in cambio del lavoro e di tutte le opere che venivano consegnate al governo.
Fu lo stesso Hitler a dire che:
«Per ogni banconota che viene stampata, noi abbiamo richiesto l’equivalente di una “banconota” di lavoro svolto o di beni prodotti.»
I lavoratori tedeschi, quindi, spendevano poi quei certificati in altri beni e servizi, creando lavoro per altre persone. Così facendo, nell’arco di soli due anni, il problema della disoccupazione venne risolto e il paese si era rimesso completamente in piedi, dopo anni di povertà e sofferenze. Finalmente, la Germania possedeva una valuta solida e perfettamente stabile, nessuna traccia di debiti, niente inflazione, in un momento in cui negli altri paesi, come ad esempio negli Stati Uniti, piuttosto che la maggioranza degli altri paesi del mondo occidentale con credenziali “democratiche”, si pativa ancora l’assenza di lavoro e i cittadini vivevano di assistenza.
La Germania arrivò a risultati così sbalorditivi che riuscì persino a ripristinare i suoi commerci con l’estero, nonostante le banche straniere gli negassero credito e facessero di tutto per boicottare quello che non era altro che un vero miracolo economico internazionale. Come si è detto in precedenza, Hitler ricorse al baratto, la Germania scambiava beni e servizi direttamente con gli altri paesi, aggirando così le banche internazionali, le quali nulla potevano fare per contrastarla, se non ricorrere, dopo anni di macchinazioni, alla guerra.
Ad ogni modo, risulta di vitale importanza sottolineare che questo sistema di scambio diretto avveniva senza creare debito né deficit commerciale nei confronti di nessuno. Si sottolinea ancora una volta che tutto questo avveniva mentre gli Stati Uniti precipitavano nel pantano della crisi economica e negli altri stati cosiddetti democratici si pativano fame e miseria.
Rexford G. Tugwell, un economista che entrò a far parte del primo “Brain” di Franklin Roosevelt, un gruppo di accademici della Columbia University che aiutò a sviluppare raccomandazioni politiche che portarono al New Deal, scrisse che:
«Nel 1939 il governo non riuscì a raggiungere alcun successo e che solo il potente vento della guerra poteva dissipare la nebbia. Qualsiasi altra misura che Roosevelt potesse prendere era destinata al fallimento, solo la guerra mondiale poteva salvare il capitalismo statunitense.»

Ora, la domanda da porsi è questa: Può una nazione desiderosa di un grande riscatto nazionale, che utilizza tutte le proprie forze nel risollevarsi al fine di raggiungere una stabilità economica, politica e sociale, essere scambiata per una potenza animata dalla volontà di conquistare il mondo intero?
Pensare al proprio bene, perseguendo un interesse che è completamente distaccato dalle logiche monetarie e finanziarie del Corporate Banking è da considerarsi un atto di violenza nei confronti dell’umanità? Per quale ragione montare una campagna mediatica contro la Germania Nazionalsocialista al fine di farla passare come l’eterno nemico dei popoli? Le dinamiche dietro una tale confusione come si possono spiegare? Stephen Mitford Goodson, nel saggio citato prima “Storia delle banche centrali e dell’asservimento del genere umano”, con documenti alla mano, ci dà una risposta:
«Nel periodo compreso fra il 1933 e il 1937 furono costruite 1.458.178 nuove case seguendo i più alti standard dell’epoca. Ogni abitazione poteva essere alta al massimo due piani e doveva essere dotata di un giardino. La costruzione di appartamenti venne scoraggiata e i canoni di affitto non potevano superare i 25 marchi al mese, ovvero 1/8 del reddito di un operaio medio. Gli impiegati, che godevano di introiti superiori, pagavano un massimo di 45 marchi mensili… Ogni coppia di sposi novelli aveva diritto a un prestito privo di interessi sotto forma di buoni pari a 1.000 marchi (corrispondente a circa 5 mesi di retribuzione lorda), noto come Ebestanddarlehen (prestito matrimoniale), che avrebbe permesso loro di acquistare il necessario per la nuova casa. II prestito era rimborsabile all’1% mensile, ma per ogni figlio nato si riduceva del 25%. Pertanto, in una famiglia in cui erano presenti quattro figli, il prestito veniva considerato estinto (!). Lo stesso principio veniva applicato ai prestiti per la casa, concessi per una durata di dieci anni a bassi tassi di interesse: anche in questo caso, la nascita di ogni figlio rappresentava l’abbattimento del 25% della somma da restituire. L’istruzione nelle scuole, gli istituti universitari tecnici e le università in generale erano gratuiti e anche il sistema sanitario garantiva assistenza medica gratis per tutti… Tra il 1933 e il 1937 le importazioni crebbero del 31%, passando da 4,2 miliardi di marchi a 5,5 miliardi, mentre le esportazioni, soprattutto quelle verso l’Europa sud-orientale, aumentarono del 20,4%, da 4,9 a 5,9 miliardi di marchi. Questo incremento del commercio si riflette nell’aumento del 76,9% nei trasporti interni, da 73,5 a 130 milioni di tonnellate trasportate, e delle tonnellate trasportate via mare, passate da 36 a 61 milioni. Durante questo periodo il commercio fu sensibilmente potenziato dal baratto, che estrometteva i sistemi di pagamento internazionali e l’obbligo di versare commissioni e interessi sulle cambiali… Tra il 1932 e il 1937 il reddito nazionale tedesco aumentò del 43,8%, passando da 45,2 a 65 miliardi di marchi, mentre tra il 1932 e il giugno del 1939 l’indice dei beni strumentali aumentò del 219,6%, da 46 a 147; seppure, il costo della vita aumentò solo del 4%, ovvero meno dell’1% annuo, tasso questo che sarebbe rimasto costante per tutti i 12 anni di statalizzazione bancaria sotto l’egida del nazionalsocialismo. La politica monetaria tedesca poteva considerarsi antinflazionistica, perché gli investimenti del governo, che fecero salire la domanda dei consumatori, portarono a un aumento nella disponibilità dei beni di consumo… Uno dei miti diffusi dagli storici dell’establishment è che la rinascita economica tedesca si basasse sulla produzione di armamenti. Al contrario, la seguente tabella rivela i modesti livelli di investimento fatti nel campo della difesa, che aumentarono solo nel 1938/39, quando la Germania iniziò a sentirsi minacciata dai vicini. Anche se la Germania avesse speso tutto il suo 22% di reddito nazionale nella difesa, subito prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, non sarebbe stato comunque troppo se si considerano le scarse difese naturali ai confini della nazione e il fatto che in quel preciso momento storico il paese era circondato da nemici ostili quali la Cecoslovacchia, la Francia e la Polonia. D’altro canto, la Germania si trovava anche a dover reintegrare gli armamenti, che il Trattato di Versailles le aveva impedito di possedere.»

Questi sono alcuni dei dati inoppugnabili inerenti agli incredibili risultati raggiunti dalla Germania che mai nessun paese al mondo nella storia è riuscito a raggiungere nello stesso arco di tempo. A conferma di quanto provato da Goodson, si aggiunge la testimonianza dello storico inglese A.J.P. Taylor, il quale, nel saggio intitolato “Le origini della seconda guerra mondiale” scrive che:
«Le condizioni degli armamenti tedeschi nel 1939 forniscono la prova decisiva che Hitler non stesse minimamente contemplando l’idea di un conflitto generale, e che probabilmente non fosse per niente interessato alla guerra.»
Alla luce di quanto detto, credo sia lecito porsi una domanda, poiché la quantità di prove a sostegno di tali conclusioni è innumerevole: chi ha voluto la guerra?
Se osserviamo l’Europa prima e dopo la Grande Guerra, ci si accorge di quale stravolgimento geopolitico sia stato messo in atto, creando già le basi per un futuro conflitto, qualora i piani dei banchieri internazionali non fossero andati a buon fine nel lungo termine. Questi cambiamenti erano il frutto di un piano ben congeniato per far sì di annientare la Civiltà Europea. Un po’ come sta accadendo ora con l’avvicinamento dell’Europa all’Eurasia. È la stessa identica cosa in salsa diversa.
Citiamo ancora il Barozzi nell’opera menzionata in precedenza:
«Si riscontra, infatti, da una parte, un piano di natura per così dire massonica, che porta alla creazione della Società delle Nazioni ed ai primi organismi mondialisti quali il CFR, ecc., che si può leggere come anti europeo in senso ideale, perché permeato di un presupposto ideologico mondialista di superamento delle entità nazionali e, dall’altro, una strategia dai classici canoni nazionalistici, antitedesca in senso stretto e contingente, perché tendente ad accerchiare la Germania e impedirne la rinascita, grazie ad una serie di nazioni, soprattutto slave, create artificialmente e gonfiate a spese della Germania stessa, dell’ex impero austro ungarico e dell’ex Russia zarista. Una creazione talmente iniqua e artificiale e foriera di stati di tensione non controllabili che si sarebbe potuta reggere solo fino a quando la Germania e la Russia fossero rimaste nello stato di inferiorità economico e militare post-bellico. In qualche caso, si vuol far passare questi assurdi rimaneggiamenti posti in atto dalla pace di Versailles come l’ingenuità del presidente americano Wilson le sue utopie pacifiste e le relative tattiche per l’autodeterminazione dei popoli. Ma a parte il fatto che Wilson era il semplice esecutore in una ben individuata lobby massonica che lo gestiva, le cose non stanno affatto in questo modo, perché le strategie del 1919 furono attuate con coscienza di causa ed in vista della progettazione di un programma mondialista, transnazionale, teso al superamento ed alla subordinazione degli Stati e delle identità nazionali all’Alta Finanza Internazionale (che ovviamente non rappresenta soltanto un aspetto finanziario) il cui sbocco naturale lo vediamo in quanto avviene oggi con il Nuovo Ordine Mondiale post caduta del muro di Berlino e che si vorrebbe un domani far confluire in una ideale e planetaria Repubblica Universale.»
Ebbene, alla luce dei fatti di oggi, può qualcuno asserire che non sia così? Oggi stiamo andando proprio in quella direzione mondialista auspicata dai lorsignori già all’indomani del primo conflitto mondiale.
L’ITALIA FASCISTA
A suo modo, seppur in maniera differente, anche l’Italia mise in atto un comportamento di ostruzione nei confronti del potentato bancario internazionale. Se è vero da un lato che Mussolini venne finanziato dai soliti noti e che nel 1933, l’Italia, come ogni altro paese al mondo, venne registrato presso il SEC (Security Exchange Commission), dall’altro, nei fatti, Mussolini adottò misure avverse a quelle che erano le volontà sovrannazionali e questo non fu il frutto di un caso. Benché finanziati dai soliti noti, Hitler, Mussolini e Hiroito avevano idee decisamente differenti sul da farsi.
Ad uno sguardo attento dell’Europa del periodo, si comprende come le potenze “democratiche” fossero già perfettamente allineate con i dettami dei grandi banchieri internazionali, e di come, al contrario, Italia, Germania e Giappone, fossero in posizione decisamente contraria. L’idea dei lorsignori era quella di sfruttare il revanscismo nazionalista derivante dalla promozione di uomini come Mussolini o Hitler per raggiungere lo scopo. Una volta conquistata la fiducia del popolo sarebbe stato un gioco da ragazzi raggiungere l’obiettivo prefissato, ossia un sistema monetario, politico, sociale e culturale unico, con la definitiva scomparsa della civiltà europea. Ma per questi uomini, le cose dovevano andare diversamente.
A proposito di Mussolini, Stephen Mitford Goodson, nel saggio citato prima, scrive che:
«Il 28 ottobre 1922 Benito Mussolini e il suo partito nazionale fascista salirono al potere. Il fascismo dovrebbe più appropriatamente essere descritto come corporativismo, poiché rappresentava un misto di stato e potere corporativo. Nel 1936 la Camera dei deputati fu sostituita da un Consiglio Nazionale delle Corporazioni, composto da 823 rappresentanti provenienti dal mondo dell’industria, della manodopera e dello stato, che avevano il compito di gestire il settore industriale e sedare le dispute sindacali. Negli anni ’20, la spesa in disavanzo permise di stilare un programma di opere pubbliche che si rivelò essere senza paragoni nell’Europa dell’epoca. Vennero costruiti ponti, canali, una rete autostradale lunga 500 km, ospedali, scuole, stazioni ferroviarie e orfanotrofi. Vennero effettuate opere di rimboschimento forestale e furono sovvenzionate le università.” Le paludi pontine vennero bonificate e furono recuperati 800 km² circa di terreno. Come parte del programma di autosufficienza nazionale, o autarchia, venne sovvenzionata e disciplinata l’agricoltura. Nel 1926 Mussolini intervenne per la prima volta nel settore bancario, concedendo alla Banca d’Italia la giurisdizione sull’emissione delle banconote e sulla gestione dei requisiti minimi per le riserve, oro compreso. Tutto ciò rientrava nella sua politica di utilizzo del fascismo principalmente per creare uno stato autarchico non soggetto ai capricci del commercio e della finanza mondiali. Nel 1927 l’Italia ricevette un prestito di 100 milioni di dollari dalla JP Morgan per far fronte a una particolare emergenza. Da quel momento, però, Mussolini si rifiutò di negoziare o accettare ulteriori prestiti dall’estero, poiché era deciso a far sì che l’Italia non fosse subordinata agli interessi delle banche estere. Nel 1931 lo stato si arrogò il diritto di supervisionare tutte le maggiori banche attraverso l’Istituto Mobiliare Italiano. Nel 1936 il processo fu portato a compimento quando, grazie alla Legge di riforma bancaria, la Banca d’Italia e le principali banche divennero enti statali. La Banca d’Italia divenne a tutti gli effetti una banca di Stato, con il diritto esclusivo di creare credito dal nulla e prestarlo ad altre banche in cambio di una tassa nominale. Furono cancellati i limiti ai prestiti statali (come nel caso della Banca del Giappone) e l’Italia abbandonò il sistema monetario aureo.»
Questo fu l’unico momento della storia in cui la Banca d’Italia operò realmente come istituto di diritto pubblico, essendo stata strutturata come una società anonima fin dalla sua fondazione. E lo è a tutt’oggi. Per approfondimenti sul tema, si rimanda alla lettura dell’articolo qui sul blog, intitolato “La proprietà della moneta”.
Dunque, anche Mussolini mise in atto delle politiche avverse ai grandi della finanza internazionale, seppur in maniera differente. Le prove, i fatti e le testimonianze sono innumerevoli, basti pensare a Virginio Gayda, Giovanni Preziosi e lo stesso Luigi Cabrini, di cui vi suggerisco di leggere il saggio intitolato “Il potere segreto” nel quale l’autore, fra l’altro, sottolinea le vere cause della sconfitta militare italiana e della caduta del fascismo volute dalle lobby dei lorsignori e della massoneria, il tutto con documenti e prove alla mano, ma soprattutto testimonianze dirette.
Tornando a noi, tutto questo si collega non soltanto a quello che fu poi l’operato della Germania, ma anche a quello del Giappone.
Il Giappone di Hiroito
Ebbene, anche il Giappone, a sua volta, si adoperò per sganciarsi dal sistema usuraio internazionale. Comprendendo le criticità del sistema “democratico” angloamericano non soltanto dal punto di vista monetario, ma anche culturale, e ispirato dal modello italiano e tedesco, il Giappone divenne una colonna portante dell’opposizione internazionale contro la grande finanza. Ciò che ha caratterizzato l’operato del Giappone, riguarda fin dal principio la Banca centrale giapponese.
Citiamo ancora Goodson:
«La Banca del Giappone, o Nippon Ginko, fu fondata il 10 ottobre 1882. Sebbene la casata imperiale giapponese ne fosse il maggior azionista, l’istituto funzionava come una classica banca centrale, ovvero a beneficio delle banche private e a scapito dell’interesse pubblico. Nel 1929 C. H. Douglas, il cui sistema di credito sociale è stato discusso in precedenza, si recò in Giappone per tenere un ciclo di conferenze. Le sue proposte per permettere al governo di creare valuta nazionale e credito senza interessi furono accolte con entusiasmo dai leader del governo e del settore industriale del paese. Tutti i libri e gli opuscoli di Douglas furono tradotti in giapponese e se ne vendettero più copie nel solo Giappone che in tutto il resto del mondo. La conversione della Banca del Giappone in banca statale amministrata esclusivamente per il soddisfacimento degli interessi nazionali ebbe inizio nel 1932. La riforma della banca venne portata a termine nel 1942, quando la legge sulla Banca del Giappone fu rielaborata sulla base dell’atto tedesco sulla Reichsbank, del gennaio 1939. La banca rappresentava una particolare società di capitali di natura fortemente nazionale. Doveva ‘assumersi la responsabilità di controllare la valuta e la finanza, sostenendo e promuovendo il sistema di crediti in conformità con le politiche statali, al fine di garantire il totale impiego del potenziale della nazione.’ Inoltre, doveva ‘essere gestita seguendo un unico principio guida: il raggiungimento degli obiettivi del paese’ (Articolo 2). Per quanto concerne le funzioni della banca, la legge abolì il vecchio principio di priorità per i finanziamenti commerciali, così da permetterle di supervisionare le strutture a cui destinare i finanziamenti industriali. Inoltre, la banca venne autorizzata a concedere prestiti illimitati al governo senza garanzie, a emettere obbligazioni a favore dello stesso e ad assorbire quelle già esistenti. In tema di emissione di banconote, la legge rese permanente il sistema del limite massimo; di conseguenza la banca poteva ricorrere a emissioni illimitate per far fronte alle richieste dell’industria bellica e del governo. Per contro, però, la supervisione del governo nei suoi confronti si fece più forte. Il governo aveva la facoltà di nominare, supervisionare e dare ordini al presidente e ai dirigenti; c’era anche una clausola che gli conferiva poteri più estesi, volti a impartire i cosiddetti ‘ordini funzionali’, indirizzando la banca nello svolgimento di quelle funzioni ritenute necessarie per il conseguimento degli obiettivi della stessa. Inoltre, la legge elencava tutta una serie di operazioni per le quali la banca era tenuta a sottostare all’approvazione del governo, tra cui la variazione dei tassi di interesse, le emissioni delle banconote e i conti. Il Giappone aveva sperimentato le stesse traumatiche difficoltà causate dalla Grande Depressione, generata artificiosamente dall’agire umano. In ogni caso, il metodo di conversione da banca da centrale a una statale diede i suoi frutti in tempi brevi e sul lungo periodo. Indici economici del Giappone nel periodo 1931-41. La tabella illustra i progressivi miglioramenti che interessarono l’economia giapponese una volta rimosse le catene dell’usura. Durante il periodo compreso fra il 1931 e il 1941, la produzione manifatturiera e quella industriale crebbero rispettivamente del 140% e del 136%, mentre il reddito nazionale e il prodotto nazionale lordo rispettivamente del 241% e del 259%. Queste percentuali, senza dubbio degne di nota, superavano di gran lunga quelle degli altri paesi industrializzati. Nel mercato del lavoro, la disoccupazione passò dal 5,5% nel 1930 al 3,0% nel 1938. I conflitti industriali diminuirono e gli scioperi passarono dai 998 del 1931 ai 159 del 1941. Alla fine degli anni ’30 il Giappone era la principale potenza economica dell’Asia orientale e pian piano le sue esportazioni arrivarono a rimpiazzare quelle provenienti dall’America e dall’Inghilterra. Nell’agosto 1940 il paese annunciò la costituzione della Sfera di prosperità della Grande Asia Orientale. Il timore che queste nazioni adottassero lo stesso sistema alla base della banca statale giapponese era una minaccia talmente grande per la US Federal Reserve Bank, posseduta e controllata dai Rothschild, che lo scoppio di una guerra venne visto come l’unica soluzione di contrasto.»


Come si è visto anche in precedenza, il timore che altri paesi potessero prendere esempio dal Giappone, dalla Germania e dall’Italia, costituiva la paura più grande dei grandi banchieri internazionali, i quali si erano dati ben da fare per raggiungere i loro scopi:
- Fondazione del Federal Reserve System; (1913)
- Prima Guerra mondiale; (1914)
- Rivoluzione Bolscevica (nel bel mezzo della guerra); (1917)
- Repubblica di Weimar; (1918)
Tutto questo nell’arco di pochissimo tempo, come tappe che costituiscono gli anelli di congiunzione di un’unica catena di eventi pianificati a tavolino. Ma il mondo non era cieco e molti auspicavano di seguire le orme della Germania, del Giappone e dell’Italia. David Irving, il più grande storico oggi vivente, nel suo “The War Path” ci rende noto che:
«Nel settembre del 1936, l’ex primo ministro britannico, David Lloyd George, trascorse due settimane in Germania come ospite di Adolf Hitler. Scrisse con ammirazione sul Daily Express come Hitler avesse unito le persone, datori di lavoro e artigiani, ricchi e poveri in un unico popolo: Ein Volk, appunto. Il magnate della stampa britannica Cecil King scrisse nel suo diario quattro anni dopo: “Lloyd George menzionò l’incontro con Hitler e parlò di lui come della più grande figura europea dopo Napoleone e forse più grande di lui. Disse che non avevamo avuto a che fare con un regime austero” ascetico come Hitler fin dai tempi di Attila.» David Lyoid George compare in un filmato del documentario prima menzionato dove afferma che il merito della rinascita tedesca era di Adolf Hitler, il quale era riuscito a creare un modello socioeconomico che non aveva eguali.

FINE PARTE I




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