Perché scoppia la Seconda Guerra Mondiale

Prima di proseguire, ai fini di una comprensione esauriente dei fatti, non è possibile non menzionare il Patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica datato 23 agosto 1939 pubblicati su Relazioni Internazionali il 9 settembre del 1939.

Stalin e Ribbentrop si stringono la mano dopo la firma del patto al Cremlino

Il Governo del Reich e il Governo dell’Unione Sovietica, guidati dal desiderio di consolidare la pace fra la Germania e l’Unione Sovietica e fondandosi sulle disposizioni fondamentali del trattato di neutralità che è stato concluso nell’aprile 1926 fra la Germania e l’Unione Sovietica, hanno convenuto quanto segue:

Art. I Le due Parti contraenti si impegnano ad astenersi reciprocamente da qualsiasi atto di violenza, da qualsiasi azione aggressiva e da qualsiasi aggressione, tanto isolatamente quanto in collegamento con altre Potenze.

Art. 2- Qualora una delle due Parti contraenti fosse oggetto di un atto di guerra da parte di una terza Potenza, l’altra parte contraente non appoggerà in nessun modo questa terza Potenza.

Art. 3 Governi delle due Parti contraenti resteranno in avvenire costantemente in contatto consultivo, per informarsi reciprocamente sulle questioni che toccano i loro comuni interessi.

Art. 4 Nessuna delle due Parti contraenti parteciperà a qualsiasi raggruppamento di Potenze, mediatamente immediatamente diretto contro l’altra Parte.

Art. 5 Nel caso che sorgano divergenze o conflitti fra le Parti contraenti su questioni di qualsiasi natura, i due contraenti appianeranno questa divergenza questo conflitto esclusivamente a mezzo di scambi amichevoli di vedute, o, in caso di necessità, a mezzo di commissioni arbitrali.

Art. 6 II presente trattato è concluso per la dura anni, con la clausola che qualora una delle due Parti contr non lo denunci un anno prima del decorrere di tale durata e la validità di questo trattato verranno automaticamente prolungate per altri cinque anni.

Art. 7 Il presente trattato deve venir ratificato entro p breve termine possibile. I documenti di ratifica saranno scambiati a Berlino. Il trattato entra in vigore al momento della firma.

Fatto in duplice copia, tedesca e russa.

Mosca, 23 agosto 1939.

Firmato: von Ribbentrop – Molotov

Si allegano le ultime proposte tedesche per il regolamento della questione di Danzica, del Corridoio e delle Minoranze che a breve andremo a vedere.

30 agosto 1939

  • La città libera di Danzica, sulla base del suo carattere puramente tedesco e della volontà unanime della sua popolazione, fa immediato ritorno in seno al Reich.
  • Il territorio del così detto Corridoio, che va dal Mar Baltico fino alla linea Marienwerder – Graudenz – Kulm – Bromberg (comprese) e indi alquanto all’ovest si dirige verso Schoenlanke, deciderà sulla sua appartenenza alla Germania ovvero alla Polonia.
  • A tale scopo detto territorio procederà ad un plebiscito.

Avranno diritto al voto tutti i tedeschi che erano residenti in quel territorio al I gennaio 1918 ovvero nati in esso prima di quel giorno, ed egualmente tutti coloro (Kasciubi etc.) che abitavano in quel territorio fino a quel giorno ovvero nati in esso prima di quel giorno. I tedeschi espulsi da quei territori torneranno ad esercitare il loro diritto di voto. Per assicurare una votazione obiettiva e garantire i grandi preparativi ad essi necessari, quel territorio come fu fatto per il territorio del Saar sarà sottoposto ad una Commissione internazionale delle quattro grandi nazioni (Italia, U.R.S.S., Francia e Inghilterra) che dovrà venir subito costituita. La commissione eserciterà in quel territorio tutti i diritti di sovranità. A tale scopo quel territorio dovrà essere sgombrato, nel più breve termine da convenirsi, da militari, polizia e autorità polacchi4- Da questo territorio resta eccettuato il porto polacco di Gdynia che è fondamentale territori o di sovranità polacca in quanto territorialmente limitato a località polacche.

  • Allo scopo di assicurare, dopo eseguita la votazione (indipendentemente dal suo esito), le libere comunicazioni della Germania con la sua provincia di Danzica e Prussia Orientale, e alla Polonia le sue comunicazioni col mare, qualora il territorio di plebiscito vada alla Polonia, sarà data alla Germania una zona extraterritoriale di traffico, eventualmente in direzione Butow-Danzica, ovvero Dirschau, per impiantarvi una autostrada e una linea ferroviaria a quattro binari… Qualora la votazione riesca favorevole alla Germania, la Polonia riceverà per il libero e illimitato traffico verso il suo porto di Gdynia gli stessi diritti di un collegamento, stradale e ferroviario, extraterritoriale, quali quelli che competerebbero alla Germania.
  • Nel caso che il Corridoio tornasse al Reich germanico, questo si dichiara disposto ad uno scambio di popolazioni con la Polonia, nella misura alla quale si presta il Corridoio.
  • I privilegi eventualmente desiderati dalla Polonia nel Porto di Danzica verrebbero stabiliti in maniera paritetica con eguali diritti della Germania nel porto di Gdynia.
  • Per eliminare in questo territorio ogni impressione di minaccia delle due parti, Danzica e Gdynia assumerebbero il carattere di pure città commerciali ossia senza impianti militari e senza fortificazioni.
  • La penisola di Hela, che in conseguenza del plebiscito apparterrebbe alla Polonia o alla Germania, dovrebbe essere in ogni caso smilitarizzata.
  • Siccome il Governo del Reich intende presentare le più energiche proteste contro il trattamento polacco delle minoranze, e il governo polacco crede anche di dover presentare reclamo contro la Germania, le due parti si dichiarano d’accordo a sottoporre i reclami ad una commissione di inchiesta costituita da elementi internazionali e che avrà il compito di esaminare tutti i reclami circa i danneggiamenti economici e fisici, come pure circa altri atti di terrorismo. La Germania e la Polonia si impegnano a riparare tutti i danni economici o di altro genere fatti alle rispettive minoranze dal 1918: ovvero a revocare tutte le espropriazioni, ovvero ad accordare per esse e per altri danneggiamenti della vita economica una completa indennità ai colpiti.

Alla luce di tutto ciò, è facile comprendere come le richieste di Hitler furono più che ragionevoli a fronte delle tensioni in atto in Polonia. E credo si possa capire come la questione di Danzica ricoprì un ruolo cruciale nella deflagrazione del conflitto, anche se strumentalizzata per far apparire Hitler come l’uomo che, preso dalla sua brama di potere, invase la Polonia.

No, i fatti dicono altro. Era necessario provocare la Germania, ingannarla per far sì che essa potesse compiere quel passo falso che avrebbe autorizzato le potenze d’oltreoceano a scatenare la guerra. E questo accadde esattamente dopo l’evento probabilmente cruciale di tutta questa storia mai raccontata. Era il 15 giugno del 1939. Citiamo ancora il Pucciarelli e “Segreto Novecento”:

«La legge del 15 giugno 1939 (disposizioni riguardanti l’amministrazione e la composizione del capitale sociale della Banca Centrale Tedesca del Reich, modificata dal decreto del 4 settembre 1939- (RGBI I.S. 1694) é stata di fatto abrogata, dalla legge n. 60 del governo militare americano in Germania e dal decreto n. 129 del governo militare inglese in Germania emanato in data I marzo 1948. La legge che in pratica disponeva la nazionalizzazione della Reichsbank così recitava: “Il governo del Reich ha approvato la seguente legge, che così viene emanata: la Banca Tedesca del Reich è, come banca di emissione, alle dirette dipendenze della totale sovranità del Reich. Essa è al servizio della realizzazione degli scopi prefissi dal governo Nazionalsocialista nei limiti della sfera di competenza affidatale, soprattutto per la garanzia del valore della valuta tedesca.  Al Capitolo I- Forma giuridica e incombenze) la legge così proseguiva: “La Banca Tedesca del Reich è una persona giuridica di diritto pubblico…essa fa capo direttamente al Fuhrer e al Cancelliere del Reich. I compiti della Banca tedesca del Reich derivano dalla sua posizione di banca di emissione del Reich. Essa sola ha il diritto di emettere banconote. Deve inoltre regolamentare le transazioni e le operazioni finanziarie in Germania e all’estero. Deve anche provvedere alla utilizzazione dei mezzi economici disponibili dell’economia tedesca nel modo più appropriato per l’interesse collettivo e politico-economico”.

Al capitolo III – Capitale sociale e partecipanti, paragrafo II, comma 1 e 2, la legge precisava:

“Il capitale sociale della banca del Reich ammonta a 150 milioni di marchi tedeschi. È diviso in partecipazioni. Sono ammessi come partecipanti della banca del Reich solo i cittadini tedeschi che per la loro origine adempiano i requisiti relativi al diritto di cittadinanza del Reich, nonché le persone giuridiche e le aziende che svolgano le loro competenze nell’ambito di applicazione di questa legge”.

La legge del 15 giugno 1939 vietava dunque qualsiasi partecipazione della finanza al capitale della Banca Centrale tedesca. La rigida selezione dei partecipanti, la repentina nazionalizzazione della Reichsbank e la germanizzazione delle imprese, grandi e piccole, operanti in Germania, avrebbero, tuttavia, posto la politica economico monetaria tedesca in aperto contrasto con gli interessi delle multinazionali che, disponendo di cospicui capitali avrebbero “indirettamente” contribuito alla realizzazione del miracolo economico hitleriano. La posizione di Schacht, cui spettava il merito di aver ideato e indicato le vie di attuazione del programma di ricostruzione dell’economia tedesca, a vantaggio della Germania e del popolo tedesco, sarebbe poi diventata ostacolo alla realizzazione dell’intero progetto hitleriano, tanto da indurre il Fuhrer a rimuovere il geniale economista dallo svolgimento dei fondamentali incarichi di Ministro dell’Economia nel 1937 e di Presidente della Reichsbank nel gennaio 1939. Questa decisione sarebbe maturata in seguito alle crescenti perplessità del Fuhrer sul ruolo autorevole che Schacht contemporaneamente svolgeva ai vertici della Bank for International Settlements di Basilea. Hitler, cui erano note le attività di questa banca, detta anche allora “Banca delle Banche Centrali”, intendeva probabilmente evitare che l’autonomia della Reichsbank tedesca fosse subordinata alle decisioni di questo superiore organismo bancario internazionale, il cui capitale era in gran parte posseduto dalla finanza ebraica. Schacht, che, fra l’altro, a soli fini pratici, si sarebbe dissociato dalla rigida condotta antiebraica, imposta dalle leggi di Norimberga, espose più volte al Fuhrer i rischi ai quali egli avrebbe esposto il Reich, qualora fosse stata varata la prevista legge di nazionalizzazione della Reichsbank e la pretesa selezione su base razziale dei partecipanti al suo capitale; non mancando di segnalare che in tale evenienza i rapporti internazionali della Germania sarebbero stati seriamente compromessi e resi vani gli sviluppi, fino ad allora positivi, della politica di “appeasement”, che le potenze europee, con qualche incertezza, erano allora disposte a condurre. Sempre secondo il parere di Schacht, la legge sulla Reichsbank, quando fosse entrata in vigore, avrebbe complicato la difficile ricerca di una soluzione per via diplomatica dello spinoso problema di Danzica e in genere delle minoranze etniche tedesche, costrette da vent’anni a vivere in “terra straniera” (non ritenendo secondaria la critica situazione dei tedeschi che abitavano a Bromberg e a Posen, città che un tempo appartenevano alla Germania e il Trattato di Versailles aveva assegnato alla Polonia). In modo più esplicito, Schacht avrebbe confidato a Hitler l’opinione, condivisa con Montagu Norman, secondo la quale la Bank of England e, di riflesso, la Gran Bretagna, avrebbero presto assunto un più rigido atteggiamento nei confronti della Germania, al punto da escludere sia sul piano finanziario che su quello politico, il riconoscimento delle transazioni bancarie internazionali relative all’oro posseduto dalla Reichsbank e qualsiasi possibilità di negoziato per ulteriori annessioni di territori, in cui risiedevano popolazioni di etnia tedesca, a cominciare dalle pur ragionevoli proposte avanzate da Hitler in merito all’uso da parte tedesca del Corridoio di Danzica.»

Ecco perché scoppio la Seconda Guerra Mondiale. Per citare Ezra Pound:

«Una nazione che non vuole indebitarsi fa rabbia agli usurai.»

Ezra Weston Loomis Pound

Occorre domandarsi perché, ad oggi, non esiste paese al mondo che non abbia debito? Neanche Israele è esente da questo. Dunque, cominciamo a comprendere come la ragione monetaria si mescoli ad un’altra che verrà utilizzata come arma per provocare la Germania ad entrare in Polonia, non ad invaderla.

Francis Neilson, membro della Camera dei Comuni britannica, famoso per la sua massima “La democrazia finisce quando si chiudono le urne”, nel suo saggio intitolato “The Makers of War” spiega con prove e fatti alla mano, come i grandi finanzieri d’oltre oceano approfittarono della questione polacca per scatenare una guerra contro la Germania. Riportiamo un estratto dal capitolo XX tradotto dal Pucciarelli:

«La garanzia dell’intervento inglese in difesa della Polonia nel caso in cui questa nazione fosse stata aggredita (dalla sola Germania n.d.a.) significava “semaforo verde” per gli esecutori del piano di guerra (contro la stessa Germania). Essa fu anche un segnale di via libera, dato a Josef Beck (Minisro degli Esteri polacco) e al Maresciallo Edward Smigly-Rydz, reggente di Polonia, per dare fuoco alle polveri, cominciando col rendere particolarmente difficile la vita della popolazione di Danzica. Non ricordo altri statisti che siano stati tanto arrendevoli, dall’oggi al domani, come il Signor Neville Chamberlain. La garanzia che il premier inglese sottoscrisse a favore della Polonia il 31 marzo 1939 era un vero e proprio segno di resa e di rassegnazione nell’accettarne le conseguenze: il sicuro sacrificio delle decine di milioni di vite che avrebbero dovuto immolarsi sull’altare del dio della guerra. La coppia Bullit – Mandel (William Bullit, ambasciatore U.S.A. a Parigi e Georges Mandel, alias Jereboam Rothschild, Ministro delle Colonie francese) avrebbe divelto la figura di Chamberlain dal podio del trionfo conquistato a Monaco, trasformandola in quella di chi ha subito una irrimediabile sconfitta. Lo stesso Chamberlain si sarebbe dimostrato incapace, da quel giorno in poi, di prevenire l’imminente catastrofe dell’intera Europa. Egli che era stato il promotore della politica di “appeasement” era adesso succube di coloro che intendevano favorire una stretta alleanza tra la Gran Bretagna e Stalin. Costoro immaginavano forse che Stalin stesse stringendo un patto con Hitler? Perché mai il Capo del Cremlino avrebbe deciso di allearsi con il Fuhrer? Se lo chiedevano i leader politici britannici, assaliti dal sospetto che Stalin stesse giocando una diabolica partita. Ma poi, aggrappandosi ai correnti principi della complessa, e spesso contraddittoria, “realpolitik”, sarebbero giunti a questa conclusione, sostenuta a modo loro da una logica opportunistica e banale: Stalin avrebbe firmato il patto di non- aggressione con Hitler perché temeva che Gran Bretagna e Francia potessero, un giorno non lontano, sconfiggere la Germania e magari estendere il loro controllo politico fino ai confini con l’Ucraina, imponendo all’Unione Sovietica l’intollerabile vicinanza degli Stati “capitalistici borghesi”. “In realtà era chiaro che a Mosca non vi era alcun desiderio di favorire il potenziamento dei “mercanti del denaro” (money marts) di Londra e Parigi; dunque, un indebolimento delle potenze armate britanniche e francesi risultava a tutto vantaggio della politica bolscevica. Ma vi era dell’altro. Gli agenti di Stalin si erano da tempo infiltrati nei gangli vitali dell’Amministrazione Pubblica americana. Nel 1933 si contavano a centinaia le spie sovietiche che occupavano importanti posizioni nell’amministrazione Roosevelt, ed erano assiduamente impegnati a condurre la vittoriosa guerra di propaganda cui si volle attribuire poi, eufemisticamente, il nome di New Deal. Alla Camera dei Comuni peraltro correvano insistenti voci in merito agli stretti rapporti che Lord Halifax intratteneva con l’Ambasciatore sovietico Ivan Maisky. In un comunicato dell’aprile del 1939 l’agenzia francese Havas, leader della comunicazione internazionale, informava che i negoziati tra Gran Bretagna e Unione Sovietica, destinati a stabilire accordi di mutua assistenza, procedevano speditamente.»

Francis Neilson

Qui è necessario fare un’analisi approfondita. I famigerati accordi anglo-sovietici si sarebbero conclusi segretamente nel dicembre del 1938, nel momento in cui l’ex Ministro degli Esteri britannico, Anthony Eden, dopo essersi dimesso dal governo Chamberlain, andò a Washington per partecipare, ovviamente in veste ufficiosa, ad un incontro organizzato dal Council Of Foreign Relations, al fine di trovare una rapida soluzione alla problematica d’ordine economico-finanziario, che rischiava di coinvolgere l’intera Europa. Ebbene, scrive il Pucciarelli:

«A determinare questo problema era stata la politica economica e monetaria della Germania nazista, prossima a svilupparsi nelle aree di cui il Reich tedesco avrebbe presto preteso l’annessione, visto che il sistema economico della Germania di Hitler otteneva il consenso delle popolazioni di etnia tedesca (Austria e Sudeti ebrei esclusi), ma anche di quelle che tedesche non erano (Slovacchi e, in misura consistente, di Moravi e Boemi). Un’attenta osservazione delle attività diplomatiche dal 1938 al 1943 permette di stabilire, con minima approssimazione, che il blocco alleato contro la Germania fu in realtà “ordinato” molto prima della deflagrazione del conflitto mondiale, seguendo le fasi di un progetto, che poteva essere attuato, costringendo la Nazione che s’intendeva colpire a compiere il primo atto ostile, evidentemente non consono ai principi delle “pacifiche” liberal democrazie, sistematicamente indotte ad operare in nome e per conto di superiori, inconfessabili interessi, a tutela dei quali sarebbero state spinte a condurre le più irrazionali forme di politica estera e a trasformare una controversia territoriale, geograficamente e politicamente estranea alle loro competenze, in un casus belli di dimensioni mondiali. Il blocco alleato si presenta gradualmente tra il 3 settembre 1939, con la dichiarazione di guerra di Gran Bretagna e Francia contro la Germania, per costituirsi ufficialmente l’8 dicembre 1941, dopo aver azionato il micidiale e banditesco strumento della “blocade” ai danni del Giappone, anch’esso reo di aspirare troppo ad un’autonomia territoriale, basata sul controllo di materie prime, indispensabili alla propria sopravvivenza, e ad un’indipendenza economica e monetaria. L’istinto naturale induce alla violenza il più mite degli animali quando è in gioco la propria vita. E, nel caso umano, soprattutto, quando all’ingiustificato congelamento dei beni nipponici negli Stati Uniti, seguono ripetuti e irriducibili rifiuti da parte americana ad accogliere le innumerevoli preghiere (se non suppliche) giapponesi di addivenire a più che ragionevoli e pacifiche soluzioni di quei problemi che solo Washington aveva ad arte creato.»

Quindi, alla cosiddetta occupazione nazista della Polonia occidentale (che occupazione come abbiamo visto non è), con la conquista di Varsavia da parte delle truppe di Hitler, la Russia risponde prontamente il 17 settembre 1939 invadendo i territori orientali polacchi fino al corso della Vistola. I russi mettono a ferro e fuoco campagne e città polacche. Sono circa 500.000 uomini che devastano, saccheggiano, violentano. A quanto pare, sembra che abbiano ricevuto l’ordine dai loro comandanti, memori dell’umiliante sconfitta russa, conclusasi poi nel 1921 con la Pace di Riga, di usare le maniere più dure possibili.

Ancora il Pucciarelli:

«La Gran Bretagna, in quella circostanza, non dichiara guerra all’Unione Sovietica, colpevole, al pari della Germania, di aver aggredito e invaso la Polonia, Si deve forse ai buoni uffici del signor Ivan Maisky, ufficialmente “Soviet envoy to the United Kingdom” (ambasciatore? O qualcosa di più?). Costui svolge, dal 1932, un ruolo essenziale nei rapporti, che qualcuno osa definire “sotterranei”, stabiliti fra Mosca e il governo inglese. Dal 1938, Maisky lavora astretto contatto con Lord Halifax, segretario agli Esteri promotore della politica di appeasement, quando questa sia utile ai piani del Royal Institute of International Affairs, potente istituzione londinese, che sembra disposta a tollerare l’annessione dell’Austria e la cessione dei Sudeti, non tanto per favorire la soluzione di problemi delle minoranze di lingua e tradizioni tedesche, quanto per estendere il fronte di una prevedibile guerra europea, i cui sviluppi avrebbero giustificato il successivo intervento regolatore degli Stati Uniti.»

Risulta evidente che il complesso intreccio di manovre diplomatiche che i governi di Londra, Parigi e Washington stavano intessendo, avrebbe avuto l’obiettivo di provocare la guerra, traendo il pretesto da quella che, nel 1939 almeno, sembrava essere l’ultima occasione offerta alla Gran Bretagna per muovere guerra contro la Germania, senza lasciare troppi dubbi nell’opinione pubblica mondiale circa la legittimità della propria azione: la questione polacca e il Corridoio di Danzica.

In poche parole, tutti i fatti dimostrano che fu la Gran Bretagna a scatenare la guerra, avvalendosi della fondamentale collaborazione dell’Unione Sovietica. Le istruzioni pervenivano a Londra e Mosca dagli Stati Uniti. Il tutto sotto la regia dei soliti noti.

L’immagine qui esposta riporta la copertina del Daily Express del 24 marzo del 1933 in cui la testata fa riferimento alla comunità israelitica internazionale che invita ad unirsi contro la Germania

«I due principali esponenti del “Partito della Guerra”, Anthony Eden e Winston Churchill, inducono infatti il premier Neville Chamberlain a respingere le numerose proposte di pace avanzate da Hitler tra il 24 settembre e 25 ottobre del 1939, ben sapendo che la fine delle ostilità avrebbe compromesso un altro piano, concordato con Stalin nel settembre del 1938, in base al quale l’Unione Sovietica sarebbe intervenuta in difesa dei paesi aggrediti dalla Germania. Secondo la personale interpretazione resa nota da Stalin nel dopoguerra, l’Unione Sovietica, il 17 settembre 1939 sarebbe “accorsa” in aiuto della Polonia attaccandola e occupando l’intera metà orientale dei suoi territori, per contenere l’impeto delle armate naziste che dilagavano da ovest. Tuttavia, in questo caso i conti non tornano. Se Stalin doveva arginare l’avanzata tedesca in Polonia, a che cosa gli era servito sottoscrivere il patto di non aggressione con la Germania? Ad ingannare Hitler? Sembra molto probabile. Perché? Perché la Germania doveva essere distrutta. Così volevano i Censori di Londra e Washington; i Financiers di Parigi e la schiera di obbedienti servitori dell’alta Finanza che domina Wall Street. Sono uomini politici, ambasciatori e consiglieri vari, sparsi per l’Europa, dove non mancano quelli del seguito di Maisky, inviati da Mosca, gli ambasciatori di Varsavia che eseguono ordini della Casa Bianca e della City londinese, i rappresentanti di Washington che li impartiscono all’Eliseo.» Cit. Pucciarelli – Segreto Novecento.

È incredibile come tutte le testimonianze, le prove e i fatti riportati dalle varie personalità menzionate fino adesso, si intreccino alla perfezione dando un quadro d’insieme che smonta punto per punto la storiografia ufficiale. Ma non è finita.

Operazione Barbarossa

Il 22 giugno del 1941 la Germania attacca la Russia. Questo non fu altro che l’inizio di una guerra preventiva. Qualcuno ora potrà sgranare gli occhi, ma il fatto che Stalin intendesse aggredire per primo la Germania e iniziare così l’invasione dell’Europa lo conferma egli stesso nel verbale di una sua dichiarazione del marzo dello stesso anno, pubblicata da Investjia nel 1994 e riportata da Viktor Suvorov, storico ex militante dell’Armata Rossa, ex agente del Servizio Segreto Militare dell’Unione Sovietica nel libro intitolato “The Icebreaker: Who started the Second World War?”. 

Sottolineato anche il fatto che le armate tedesche erano notevolmente inferiori, in numero e mezzi, rispetto a quelle dell’Armata Rossa, tanto che l’operazione Barbarossa fu definita “Operazione Suicidio”, è stato dimostrato dalla documentazione emersa dagli archivi sovietici riportati anche dallo stesso Suvorov, il quale poi, asserisce che:

«La sola forza della disperazione spinse Hitler a sferrare l’attacco del 22 giugno. Consapevole del fatto che lo stratagemma della Blitzkrieg avrebbe solo inizialmente avuto gli effetti desiderati sul nemico, viste anche le enormi estensioni del territorio sovietico e il periodo notevolmente breve dell’estate russa, Hitler, dopo il colpo assestato alle armate di Stalin, non ritenne prioritaria la conquista di Mosca (dissuaso peraltro dal sopraggiungere del Generale Inverno e dallo strenuo comportamento delle truppe siberiane, poste a difesa della Capitale) e puntò direttamente sui pozzi petroliferi del Caucaso, temendo che la disponibilità di petrolio sintetico e dei pozzi romeni di Ploesti, insufficiente a soddisfare l’enorme quantità di carburante richiesto dalle sue armate, si sarebbe ulteriormente ridotta nel successivo corso della guerra. »

Si allega un filmato in cui Gian Paolo Pucciarelli, attraverso diversi video, spiega nel dettaglio la parte storica in questione.

https://www.youtube.com/watch?v=rbMjMxlMbY4

Hitler, dunque, in quel difficile frangente, avrebbe ottenuto l’appoggio dell’influente Gran Mufti di Gerusalemme Haj Ali al Husseini, e dall’iracheno Rashid El Gailani, al fine fra l’altro, di allontanare gli inglesi dal Golfo Persico.

Stalin sapeva degli stretti rapporti esistenti tra il Hitler e Al Husseini, tanto da arrivare ad accordarsi con gli inglesi fin dall’autunno del 1938 per un piano d’attacco che sarebbe avvenuto non prima che la Gran Bretagna avesse dichiarato, per una ragione o per l’altra, guerra alla Germania. Scrive il Pucciarelli:

«Questa era evidentemente la condizione posta da Stalin per eseguire il compito, assegnatogli dai britannici (Winston Churchill in testa), di distruggere la Germania (“We must smash Germany!”) era espressione spesso proferita dal Premier inglese). Come noto, il sopraggiungere dell’inverno russo, la mancanza di carburante e il gigantesco e decisivo aiuto degli Stati Uniti (13 miliardi di dollari), elargito all’Unione Sovietica in armi, denaro, materie prime e semilavorati, a partire dal gennaio del 1942, permise a Stalin di vincere la guerra, e impedì a Hitler di impadronirsi del petrolio caucasico ed iracheno, o addirittura – ipotesi alquanto temuta dagli alleati – di stabilire in Medio Oriente un Impero Petrolifero Nazista, competente su un vasto raggio di territori mediorientali, grazie al supporto degli islamici. Hitler intendeva sfondare lo sbarramento di Stalingrado per poter raggiungere, attraverso il Volga, il Mar Caspio e le aree petrolifere di Majkop in Adighezia e Baku in Azerbaijan. Attraverso il Caspio gli sarebbe stato possibile giungere, in tempi relativamente brevi, fino a Tehran e, successivamente, a Baghdad. Per questa ragione a Tehran gli alleati disposero un massiccio dislocamento di truppe sovietiche che avrebbe affiancato quelle inglesi di stanza in Iran, alle quali si sarebbe unito nei primi mesi del 1942 un contingente di truppe statunitensi, guidate dal Generale Norman Schwarzkorpf Senior, che sempre da Tehran coordinava e tutelava le spedizioni all’Unione Sovietica, attraverso il Caspio, di armi e semilavorati made in USA, nonché dei famosi Carri Armati Sherman, per consentire a Stalin di affrontare e vincere la “Guerra Patriottica”. »

Dunque, per Hitler, assumeva importanza la conquista della Crimea, della roccaforte sovietica di Sebastopoli e della penisola di Kerch, per poter raggiungere, attraverso l’istmo dello stesso nome, il porto di Batumi, in Georgia, nel quale si concentrava la maggior parte dei trasporti del greggio proveniente dal Golfo Persico e dal Medio Oriente e destinato ai mercati europei.

«Nel corso del 1941, le ragioni che avrebbero dovuto giustificare il conflitto e la sua rapida estensione trovavano presto la loro unica matrice nella logica del potere, fosse questa rappresentata dalla volontà di dominio nazista o dal sistema capitalistico finanziario d’oltreoceano; mentre già allora non occorreva dimostrare quale dei due disponesse dei più efficaci strumenti propagandistici, sufficienti perfino a far intendere come un popolo di 80 milioni di anime avrebbe potuto aspirare alla conquista del mondo, non disponendo dei mezzi e delle risorse energetiche necessarie a condurre e portare a termine un’impresa di tale portata. La dipendenza della Germania nazista dalle forniture del petrolio altrui e la limitata e costosa produzione di benzina sintetica negli stabilimenti di Leuna furono tutte buone ragione che indussero Hitler a emanare nell’aprile del 1942 la direttiva con la quale ordinava alle Armate Sud e Centro di conquistare le regioni petrolifere del Caucaso.»

Questa parte risulta importante, poiché si riallaccia alle inesistenti ragioni propagandate dalla storiografia ufficiale secondo le quali Hitler volesse conquistare il mondo. Ancor più infondata risulta tale conclusione, se ripensiamo ai dati esposti in precedenza sul presunto riarmo incessante della Germania ai fini di una guerra, dato smentito dai documenti ufficiali della banca centrale tedesca nelle tabelle sposte prima.

Le richieste di pace di Hitler

Il piano di pace di Hitler, riportato da un giornale alleato, prevedeva l’indipendenza della Polonia, la soluzione dei problemi etnici attraverso la trasmigrazione, la liberazione della Russia dal comunismo, una federazione danubiana e una ferma politica antibolscevica in Europa.
Anno 1940.

Il celebre ricercatore e saggista Martin Allen, nel suo “The Hitler-Hess Deception”, ha pubblicato il promemoria del Ministero degli Esteri britannico dove sono riportati 16 diversi tentativi di pace tedeschi da settembre 1939 a giugno 1941. Le dichiarazioni di guerra britanniche e francesi alla Germania del 3 settembre 1939 furono uno shock per Hitler, il quale non aveva mai avuto intenzione di combatterle, anzi, specialmente per l’Inghilterra, egli aveva grande rispetto e considerazione.

Ma come abbiamo visto, la politica britannica non ufficiale dal 1935 al 1939 era progettata per provocare Hitler ad agire verso est, verso l’Unione Sovietica, che è esattamente ciò che fece. La garanzia militare britannica del marzo 1939 segnò un importante allontanamento dalla precedente politica britannica e spinse il governo polacco a rifiutarsi di negoziare una risoluzione pacifica della questione di Danzica come abbiamo visto in precedenza.

Il piano di pace in undici punti di Hitler. “Birmingham Gazette”, 19 marzo 1940.
Come si evince da questi giornali Alleati dell’epoca, Adolf Hitler chiese più volte la pace che fu sempre rifiutata

Churchill era diventato Primo Ministro il 10 maggio 1940 ed era determinato a continuare la guerra finché la Germania non fosse stata distrutta una volta per tutte come ebbe a dire egli stesso, indipendentemente da quanto generose fossero le condizioni di pace offerte da Hitler.

L’articolo dell’American Mercury del maggio 1943 riportava i termini dell’offerta di pace di Hitler del 10 maggio 1941, confermata da più fonti britanniche e dattiloscritta sia in tedesco che in inglese su carta ufficiale della Cancelleria tedesca. Si riportano i punti essenziali del piano di pace di Hitler esposti anche nel saggio già citato di Stephen Mitford Goodson:

1. Disarmo simultaneo di tutte le nazioni.

2. Nuovo Direttorio europeo “delle quattro potenze” per sostituire la Società delle Nazioni, dividendo l’Europa in zone di influenza.

3. Emigrazione ebraica forzata in Palestina, Etiopia, Madagascar sotto la supervisione alleata.

4. Assoluta libertà commerciale e cooperazione economica con gli Stati Uniti e altri.

La domanda legittima che chiunque dovrebbe porsi è: perchè nonostante tutte le prove e i fatti esistenti, di tutto questo non vi è traccia in nessun libro scolastico?

Operazione Blu

«Verso la metà del 1942 Hitler lancio le sue ricostituite armate nell’operazione Blu, la campagna estiva che, egli sperava, lo avrebbe reso padrone dell’Europa sino ad Astrakhan, Stalingrado e Baku. Eppure, benché adesso l’avanzata della Wehrmacht fosse massiccia, strategicamente il vincitore era sempre il comando sovietico. Dopo Charkov, che Hitler considerava uno dei più gravi errori di Stalin, l’Armata Rossa non avrebbe mai più permesso ai tedeschi di circondarla: le varie fasi dell’operazione Blu davano a Hitler quantità di prigionieri e di bottino sempre più esigue. Quando finalmente decise di resistere e di combattere, l’Armata Rossa lo fece alle proprie condizioni, con l’inverno che avanzava e all’estremo limite dei canali di approvvigionamento tedeschi. Incoraggiato dalla vittoria di Charkov, Hitler dedicò la propria attenzione alle due armate sovietiche sopravvissute alla disfatta, e decise di rinviare di alcuni giorni l’operazione Blu a favore di due battaglie preliminari (chiamate in codice rispettivamente operazione Fridericus II e operazione Wilhelm) che sperava trasformassero in facili prede quelle formazioni nemiche. Il 1° giugno il Hitler si recò in volo al quartier generale del feldmaresciallo von Bock a Poltava e convinse i generali presenti ad appoggiare il piano, spiegando che si trattava di un’opportunità che sarebbe stato pazzesco perdere: “Ciò che distruggiamo adesso non potrà interferire in seguito con la nostra operazione Blu”, disse. L’operazione Wilhelm cominciò nove giorni dopo e fu subito seguita, il 22, dall’operazione Fridericus II. Nel frattempo, il generale von Manstein aveva iniziato il prolungato bombardamento e l’attacco contro la roccaforte di Sebastopoli, in Crimea. L’operazione Blu, originariamente prevista per la metà di giugno, fu provvisoriamente rimandata al 22.» David Irving “La guerra di Hitler”.

Quindi, Convenendo sul fatto che qualsiasi strategia militare sconsigliava di intraprendere operazioni belliche in mancanza di adeguate disponibilità di petrolio, sono molti coloro che sostengono che la cosiddetta “Operazione Blu”, o piano hitleriano di conquista della vasta area compresa nel “quadrilatero” Kerch – Batumi Stalingrado Baku, proverebbe che Hitler non intendeva invadere l’Unione Sovietica. Egli si sarebbe infatti lanciato in questa rischiosa impresa al solo scopo di impedire e contenere l’imminente e ormai certo attacco sovietico contro la Germania. Citiamo ancora il Pucciarelli che ben si lega a quanto asserito da Irving:

«Le teorie espresse nel Mein Kampf a proposito dello “spazio vitale” a Est, sarebbero state valutabili in ragione della tendenza espansionistica russa verso occidente, (solo più tardi accertata). A Hitler, dunque, non restava che concentrare gran parte delle armate naziste, ormai profondamente penetrate nella “terra bruciata” dei sovietici, nell’esecuzione di questo piano, dal cui buon esito dipendeva anche il destino delle forze dell’Asse in Nord Africa. Infatti, l’avanzata dei corazzati di Rommel in territorio libico e egiziano, protesa alla conquista di Alessandria e del Canale di Suez, era continuamente compromessa dalla scarsità di combustibile e dall’impossibilità di far pervenire in tempo utile i rifornimenti all’Afrikakorps. Sul fronte orientale dunque, proseguivano i tentativi di entrare in possesso del petrolio caucasico, con la consapevolezza che, se questi non fossero riusciti, la Germania e l’Asse avrebbero perso la guerra, Le truppe corazzate del Feldmaresciallo Von Manstein, conquistata Sebastopoli e la Crimea, avrebbero dovuto convergere a Nord – Est, per incontrarsi con la quarta armata del Generale Hermann Hoth e serrare a tenaglia due gigantesche armate sovietiche, che costituirono poi l’argine invalicabile tra Stalingrado e il Volga. Hitler decise di cambiare programma e spedi Von Manstein verso Leningrado, con l’intenzione di spezzare il canale di rifornimenti americani che affluivano attraverso il Lago Ladoga. Allora, agosto del 1942, Hitler pensava che la sesta armata di Von Paulus sarebbe stata sufficiente per la conquista di Stalingrado. Ma così non fu.»

In questa fase della guerra, fra l’autunno inverno del 1942 e l’inizio del 1943, si evidenzia il fondamentale e decisivo ruolo svolto nell’intero conflitto dalle Compagnie Petrolifere angloamericane, che ne determinarono l’esito, favorevole agli alleati. Antony Cyril Sutton ne dà una dimostrazione nel suo saggio intitolato “La trilogia di Wall Street” in cui attraverso i dati e le prove raccolte dal gigante ricercatore angloamericano,  si dimostra che la vittoria delle cosiddette democrazie sul Nazi- fascismo coincideva anche con il trionfo del Potere finanziario privato, per il quale la guerra non sarebbe stata altro che lo sviluppo politico di un’azione, volta a confermare l’immensa autorità di questo potentato senza che mai avrebbe potuto rinunciare all’assoluto controllo delle fonti energetiche mondiali.

A tal proposito, Pucciarelli ci informa che:

«Singolare infine il fatto che tutti i disgraziati concorrenti del Capitalismo “monopolistico” angloamericano, al quale le rispettive Oil Companies servilmente soggiacevano, si sarebbero trovati a dover scegliere tra la supina accettazione delle condizioni commerciali e politiche, alle quali erano subordinate le forniture di petrolio, e il compimento di quell’atto di ribellione nei confronti del Trust petrolifero, per il quale ogni istanza di un’equa distribuzione delle risorse del Pianeta, conforme fra l’altro allo stesso diritto naturale, rappresentava un serio pericolo, motivo di condanna sul piano internazionale e ragione sufficiente a scatenare una guerra di liberazione, contro chiunque, “nazifascista” o no, questo monopolio avesse osato contrastare.»

In conclusione, l’Operazione Blu, per mezzo della quale Hitler intendeva infrangere tutte quelle barriere poste a tutela degli interessi petroliferi e finanziari angloamericani e ne minava uno dei più efficaci strumenti di controllo, ossia il sistema sovietico. Questo atto sarebbe stato l’ultimo tentativo di opposizione al Cartello mondiale, che del petrolio ne determina i prezzi, ne influenza i mercati e ne dispensa le forniture, in conformità e in esecuzione di un ben preciso disegno politico di caratura internazionale.

Il massacro di Dresda

Il 13 febbraio del 1945 si è compiuto una delle stragi peggiori della storia. L’inutile macabro massacro che stabilì un record di disumanità, non eguagliato neppure dai bombardamenti atomici sul Giappone. Dresda non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la posizione geografica sia perché non aveva impianti militari rilevanti. “Ma l’importante era terrorizzare” cit. dalle Memorie di Arthur Travers Harris maresciallo del comando bombardieri della Royal Air Force e che trovate integralmente a questo indirizzo:

https://www.cronologia.it/storia/a1945za.htm

Arthur Travers Harris

Quello che leggerete vi farà accapponare la pelle, la crudeltà di quest’uomo che altro non era che l’artefice della distruzione di intere città tedesche dove morirono centinaia di migliaia di civili innocenti, uomini, donne e bambini è raccapricciante. Ma la storiografia ufficiale si è dimenticata anche di questo.

Prima della Seconda guerra mondiale Dresda era la settima città della Germania per numero di abitanti e un importante centro economico e di trasporto. Fino all’autunno del 1944 la zona non era ancora stata colpita dai combattimenti: era rimasta al di fuori del raggio di azione dei bombardieri degli Alleati, ma con l’avvicinamento del fronte la situazione sarebbe cambiata presto. Due giorni prima del bombardamento, l’11 febbraio del 1945, si era conclusa a Yalta una delle più importanti (e ipocrite) conferenze della Seconda guerra mondiale: Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Josif Stalin si erano incontrati in Crimea, sul Mar Nero, e avevano preso nel giro di una settimana alcune importanti decisioni sul futuro della Germania, della Polonia e sulla creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e anche sul proseguimento del conflitto.

Decisioni che, in realtà, erano state prese da chi li manovrava, cioè da coloro che ordirono come abbiamo visto il piano della Seconda Guerra Mondiale. Nel febbraio del 1945 la guerra era quasi vinta dagli Alleati: gran parte dell’Europa orientale era stata presa dalle truppe sovietiche che erano già entrate in Polonia ed erano vicine ai confini della Germania. I paesi occidentali decisero di sostenere l’impegno bellico sovietico con lo strumento del bombardamento strategico creando confusione ed evacuazioni di massa dall’est, e quindi ostacolando l’avanzata delle truppe da ovest. Alla Conferenza di Yalta, sia Berlino che Dresda erano sulla lista degli obiettivi, ed entrambe furono bombardate dopo la conferenza. Dresda, subito dopo. In realtà il Regno Unito aveva cominciato a bombardare le città tedesche per ritorsione nel 1940, ma fino al 1943 si era trattato di attacchi limitati. Ebbene, direttamente dal saggio di David Irving intitolato “Apocalisse 1945 – la distruzione di Dresda”:

«Dal 1940 al 1942 erano state sganciate sulla Germania circa 80.000 tonnellate di bombe: nel solo 1943 sarebbero diventate quasi 200.000. Nel 1944 avrebbero raggiunto il numero di 900.000 tonnellate. Nei bollettini di guerra si parlava sempre di bombardamenti a fabbriche, della distruzione di obiettivi militari e infrastrutture di comunicazione.»

Come hanno scritto anche altri diversi storici, era chiaro però che l’obiettivo dei bombardamenti alleati, e in particolare di quelli britannici che quasi sempre colpivano di notte, era proprio uccidere i civili, spaventare la popolazione e creare il maggior numero di sfollati possibile. Lo scopo stesso dei bombardamenti strategici prevedeva una distruzione completa e non certo la presa di mira di obiettivi precisi. Irving, nel saggio menzionato, comprova che:

«Prima di ogni attacco venivano studiati i metodi e le tattiche migliori: era preferibile attaccare dopo giorni di tempo caldo e secco, in modo che le costruzioni di legno fossero più infiammabili. Bisognava sganciare prima bombe ad alto potenziale esplosivo che sfondassero i tetti delle case e rompessero le finestre e solo dopo passare a quelle incendiarie, in modo che le case sventrate bruciassero più facilmente. Infine, e solo in un secondo momento, si poteva passare alle bombe a frammentazione a scoppio ritardato, che uccidevano pompieri e soccorritori, in modo da consentire agli incendi di espandersi. Fu questo che la notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1945 gli alleati ottennero in uno dei loro attacchi più riusciti: la distruzione di Dresda.»

Signori, gran parte del centro storico di Dresda, un’area di circa 15 chilometri quadrati, venne distrutta, per non parlare del resto: più di 20.000 case, 22 ospedali, quasi 200 industrie, e altre costruzioni, tra cui il comando principale della Wermacht. Gli incendi si spensero spontaneamente dopo cinque giorni. L’esito finale furono 200.000 corpi inceneriti, più altri che vennero rinvenuti intorno alla metà degli anni 60′. Tutti civili. Ma di questo la storiografia ufficiale se ne è completamente dimenticata.

La farsa di Pearl Harbor

Il Giappone, “colpevole” dell’attacco, non rappresentò altro che la porta di servizio attraverso la quale gli Stati Uniti entrarono nella guerra tanto agognata, ma allo stesso tempo ripudiata dal popolo americano, il quale era fortemente contrario ad un intervento armato. Tuttavia, Roosevelt, ben manovrato dai plutocrati ai vertici delle banche centrali, ricorse a qualsiasi mezzo pur di raggiungere lo scopo. Specialmente l’inganno.

All’alba del 7 dicembre del 1941 le forze aeree giapponesi attaccarono la base di Pearl Harbor. Il giorno successivo Roosevelt pronunciò quello che viene ricordato come il famoso ” discorso dell’infamia che trovate integralmente a questo indirizzo:

Il presidente, inoltre chiese che, a seguito dell’attacco definito da lui stesso (mentendo) “non provocato e codardo” il Congresso dichiarasse lo stato di guerra fra gli Stati Uniti e il Giappone. Tutto questo perché? Per raggiungere uno scopo ben preciso: avere finalmente il pretesto per entrare nel conflitto da un lato, e la motivazione perfetta con la quale giustificare lo stesso dinanzi al popolo americano dall’altro.

Il “Discorso dell’infamia” pronunciato da Roosevelt l’otto settembre, come è stato poi confermato da storici come Daryl S. Borgquist, venne scritto da una équipe di diplomatici, sotto la direzione del segretario di Stato Berl, fra le 8.30 e le 12:30 di sabato 6 dicembre 1941, il giorno prima dell’attacco giapponese. Gli storici si sono adoperati per difendere le “verità” ufficiali, ma i documenti a testimonianza del piano cospirativo dietro l’attacco di Pearl Harbor sono incontrovertibili.

Tutta la documentazione è disponibile nel saggio storico e d’inchiesta di Robert Sinnet intitolato “Il giorno dell’inganno – Pearl Harbor, un disastro da non evitare”, dei quali più avanti poterete visionare i cablogrammi e i documenti ufficiali. Sinnet fa luce su ogni singolo passo compiuto da Roosevelt per trascinare gli USA in guerra, comprese le otto provocazioni messe in atto dall’entourage di Roosevelt al fine di ottenere una reazione da parte del Giappone. Sinnet riferisce che:

«Furono programmate otto fasi per provocare l’attacco giapponese. Poco dopo averle riesaminate, Roosevelt le mise in pratica. Dopo aver subito l’ottava provocazione, il Giappone reagì. Il 27 e 28 novembre 1941, i comandanti militari americani ricevettero quest’ordine: Gli Stati Uniti desiderano che il Giappone compia il primo atto di retto. Gli USA conoscevano in anticipo gli eventi del 7 dicembre del 1941. Nel testo vengono riportati i cablogrammi diplomatici giapponesi che indicavano l’inizio delle ostilità che furono intercettati e decodificati dalla marina degli Stati Uniti, la quale occultò il tutto. Degno di nota era che la Marina aveva intercettato e codificato anche i cablogrammi militari giapponesi. I morti di Pearl Harbor pesano sulla coscienza di Roosevelt e dei suoi collaboratori ben consci di ciò che stava per accadere. Ultimo ma un ultimo particolare degno di nota è che lo scopo reale di questa sinistra strategia non era il Giappone. Se da un lato è vero che, formalmente, è stata la Germania a dichiarare guerra agli Stati Uniti, dall’altra è vero il fatto che Roosevelt sapeva bene che la stessa avrebbe onorato fino in fondo il Patto Tripartito sottoscritto il 27 settembre 1940 con Italia e Giappone. Pertanto, come il Giappone, anche la Germania avrebbe dovuto compiere “il primo atto diretto”.»

La situazione delle stazioni radio alleate al 1941 in territorio giapponese. Impossibile che queste non siano riuscite ad intercettare alcun segnale o comunicazione inerente l’attacco.
Il radiogramma giapponese intercettato dai crittografi americani. La prova schiacciante del fatto che l’esercito americano e il presidente degli Stati Uniti fossero a conoscenza dell’attacco a Pearl Harbor.

George N. Crocker, nel saggio intitolato “Lo Stalinista Roosevelt” afferma che:

«Roosevelt non aveva puntato tutte le sue risorse su un solo cavallo. I tedeschi non volevano attaccare gli Stati Uniti? Ebbene, forse ci sarebbero cascati i giapponesi.»

La farsa di Yalta

Nel febbraio 1945, Roosevelt, Stalin, Churchill s’incontrarono a Yalta e concordarono pariteticamente i principi direttivi, ai quali la successiva Conferenza di Potsdam si sarebbe poi attenuta nel fissare la nuova sistemazione territoriale ed economica del mondo del dopoguerra. Questa, a quanto pare, è la tesi dei libri di storia, i soli ammessi a fare cultura nelle scuole, nelle università, nei seminari di studio, nei circoli accademici, nelle biblioteche. In questi testi, si afferma che le decisioni allora adottate dai vincitori furono ispirate al bene dell’umanità, in quanto mirarono ad assicurare al mondo un futuro di pace e di prosperità. Questa versione dei fatti, tuttavia, non corrisponde alla verità. Alfredo Bonatesta, nel saggio intitolato “Sinarchia Universale – Progetto di un Nuovo Ordine Mondiale” scrive:

«La verità è che Churchill, Roosevelt e Stalin, sicari eminenti del Potere Economico Mondiale, dopo avere straziata l’Europa più di quanto ogni esigenza prettamente bellica richiedesse, ne spartirono sciacallescamente le spoglie in due quantità più o meno equivalenti, annettendole in forma vassallatica l’una al Sistema Liberalcapitalista e l’altra a quello Socialcomunista dell’Impero Mondiale del Capitale, in esecuzione di un accordo, ch’essi avevano raggiunto segreta – mente già dal 1943.»

Qualcuno potrebbe pensare che anche questa sia pura fantasia, tuttavia, la prova inoppugnabile arriva dal francese Pierre Virion, il quale riporta in un suo testo intitolato “Une super et contre-Englise. Bientot un Gouvernement mondial?”, una lettera del 20 febbraio 1943, inviata da Roosevelt a M.Zabrousky, Presidente del Giovane Consiglio d’Israele nonché agente di collegamento con Stalin, per dare a quest’ultimo assicura- zioni precise in merito alla spartizione da effettuare a guerra conclusa. Si riporta un estratto tradotto della lettera:

«Noi accorderemo all’URSS un accesso al Mediterraneo, verremo incontro ai suoi desideri concernenti la Finlandia ed il Baltico, esigeremo dalla Polonia una giudiziosa attitudine di comprensione e di compromesso. Stalin conserverà un vasto campo di espansione negli incoscienti piccoli paesi dell’est-europeo e recupererà totalmente i territori che sono stati temporaneamente strappati alla grande Russia. E soprattutto: il pericolo tedesco, dopo la spartizione del III Reich e l’incorporazione dei suoi pezzi e degli altri territori, sparirà definitivamente, sparirà in quanto pericolo per l’URSS, per l’Europa, per il mondo intero. Quanto all’Asia: d’accordo con le sue richieste, salvo complicazioni ulteriori. Quanto all’Africa: che volete? Gli USA entrano parimenti nella partita per diritto di conquista e pretenderanno necessariamente qualche punto vitale per le loro zone d’influenza».

Alfredo Bonatesta a tal proposito, ci informa che:

«La lettera ricevuta da Zabrouskj conteneva anche taluni altri accenti, ch’è parimenti necessario riportare, per introdurre il discorso sulla Sinarchia Universale, progetto di un nuovo ordine mondiale, finalizzato a trasfondere linfa di vita perenne nelle vene del Grande Parassita dell’umanità.»

Yalta non fu altro che la spartizione del mondo preordinata dai grandi banchieri internazionali al fine di portare avanti l’Agenda Mondialista stabilita già con l’avvento del sistema Federal Reserve. Oggi siamo nella piena attuazione di quelli che sono i nuovi dettami di quell’Agenda. Cambiano i burattini, non i burattinai. Se è vero che il presente è il frutto del passato, allora è altrettanto vero che se oggi siamo a questo punto, in questa situazione orribile, vuol dire che quel passato non è come la storiografia ufficiale ce lo ha venduto, cioè pieno di conquiste, di diritti, di benessere e quant’altro, bensì molto, ma molto diverso.

Parafrasando lo spaccato di storia vera e non occultata fin qui analizzato, si può guardare a tutto ciò che è stato esposto nel blog nel corso del tempo con gli altri articoli e tracciare una linea diretta che ci porta ad oggi. E forse e dico forse, anche al futuro prossimo, non remoto, ma prossimo…

Si spostano le pedine e cambiano i burattini, ma non i burattinai.

La congiura contro la pace

La parola a Jean Montigny

«La Seconda guerra mondiale si è preoccupata di fare all’umanità questo tremendo regalo: la possibilità di distruggere la vita sulla terra. Anche se la guerra nucleare sarà miracolosamente evitata, i popoli avranno consumato immense ricchezze nel prepararla, mentre due terzi dell’umanità soffre la fame. Questo triste bilancio conduce ad una amara constatazione: la lotta sostenuta dalle democrazie nel 1939 è finita con la sconfitta dei loro principi, l’insuccesso delle loro speranze, e l’estremo pericolo corso dalla nostra civiltà. La ricerca dell’insieme delle ragioni che hanno provocato la Seconda Guerra Mondiale non è stata ancora coraggiosamente affrontata, né è stata fatta oggetto di studi approfonditi. Il Maresciallo Pétain ha rinunciato al processo sulle responsabilità della dichiarazione di guerra a causa dell’occupazione del Paese. Viziati dalla presenza dei giudici sovietici, i dibattiti processuali di Norimberga sono stati incompleti e faziosi. In Francia, dopo la Liberazione, i sopravvissuti del Fronte popolare sono tornati al potere, si sono impadroniti della stampa, della radio, e si sono ingegnati a ricostruire la storia di quel periodo come a loro conviene, sopprimendone spesso tutte le contraddizioni. Era tempo che la verità trionfasse, ed uscisse finalmente dalla prigione dove hanno cercato di rinchiuderla. Ora essa è in marcia e non si arre- resterà più. In effetti oggi ci poniamo delle domande che sarebbero parse sacrileghe qualche anno fa. Questa guerra poteva dunque poteva essere evitata? Non era possibile almeno circoscriverla? Quelli che l’hanno voluta sapevano fino a che punto li avrebbe condotti? Le potenze occidentali non avrebbero avuto maggior interesse a lasciarla cominciare all’Est? Non è apparsa spesso come il sabba classico di un apprendista stregone? Quale ideologia, quale passione, quale collera potevano giustificare tanto sangue sparso, tante rovine seminate, tante indicibili miserie, tante mostruose sfide alla ragione? Per parte mia, in questo lavoro ho dato risposte che mi autorizzano a pensare con lo storico della Terza Repubblica che non potrà mai sussistere nessuna giustificazione per tutto ciò che dal punto di vista umano e più precisamente dal punto di vista dei valori occidentali, fu decisamente insensato».

Dal saggio di Jean Montigny, La congiura contro la pace – Parigi, 1965.

Jean Montigny

Conclusione

Le parole che avete appena letto credo siano molto esaustive. Se è vero che la guerra deve essere condannata a prescindere da chi la provoca, è altresì vero che la stessa condanna non può non essere emanata nei confronti dei responsabili. E chi sono i responsabili di questa guerra, che ancora oggi viene ricordata come la più grande mai combattuta nella storia? Hitler? Mussolini? Hiroito? Chi altri?

Se qualcuno volesse insinuare che in questo articolo si è voluto sponsorizzare uomini, ideologie o partiti politici si sta sbagliando di grosso. Si ripete ancora una volta che questo articolo non vuole in alcun modo essere un attacco a nessuna etnia o religione di qualsiasi natura, bensì il tratteggio di uno spaccato di verità che non è mai stato preso in considerazione su larga scala. Si ribadisce il massimo rispetto per tutti, indipendentemente dall’appartenenza, questo deve essere chiaro. Qui non c’è spazio per ideologie, appartenenze nè altro, nè in alcun modo si vuole fare apologia di qualsiasi cosa, chi ci conosce sa che non sposiamo alcun movimento, partito o ideologia di sorta, qui si tratta di verità. Non si fa il tifo da stadio per una o per l’altra parte, ma per la verità.

Perché fatti così acclarati, prove tanto inoppugnabili, vengono continuamente nascoste alle masse? Qual è la paura? È così sbagliato porsi delle domande legittime? È così sbagliato chiedersi se quello che conosciamo, in realtà, non sia esattamente come ci hanno raccontato?

Perché una persona non può e non deve chiedersi se dietro gli avvenimenti in questione, non vi sia stata una regia ben precisa? Guardare alla storia e all’attualità secondo una logica di scontro tra potenze è limitato e inutile. Quando si guarda al potere, c’è una sola cosa da fare: seguire i soldi. È il potere economico che governa il mondo e non quello politico. E che cos’è che, alla luce dei fatti, ha mosso questo potentato sovrannazionale che oggi viaggia in direzione di quel mondialismo tanto agognato con le stesse dinamiche che utilizzò a suo tempo?

Il denaro. La trasformazione odierna del sistema monetario e via via tutti i cambiamenti posti in essere oggi, sono il risultato di una rieducazione post-bellica che mira a far sì di togliere conoscenza e consapevolezza ai popoli per continuare ad ingannarli.

Sefton Delmer giornalista britannico di origini australiane e propagandista per il governo britannico durante la Seconda Guerra Mondiale, sul Daily Express del 17 marzo del 1952 scrisse che:

«In guerra un popolo sconfitto non è mai totalmente sconfitto fino a quando non è stato rieducato dal vincitore.»

Sefton Delmer

Se guardiamo al passato, e poi ci focalizziamo sul presente tenendo a mente le parole di Delmer, cosa si evince? Come abbiamo fatto ad arrivare al livello in cui siamo oggi? Si potrebbe dire che la rieducazione è riuscita.

Ringraziamenti

Vorrei ringraziare di cuore il mio caro amico Diego Grandi per avermi aiutato con il suo lavoro di integrazione e revisione svolto per questo articolo. Persona di grande conoscenza degli argomenti trattati, dotata di principi e valori, animato da un grande amore per la verità, difficilmente oggi si trovano persone così. Un grande abbraccio amico mio!

Fonti

Bibliografia

  • Maurizio Barozzi – La guerra del sangue contro l’oro;
  • Gian Paolo Pucciarelli – Segreto Novecento;
  • A. J. P. Taylor – Le origini della Seconda guerra mondiale;
  • Gian Pio Mattogno – Il giudaismo internazionale e le origini della Seconda Guerra Mondiale;
  • Stephen Mitford Goodson – Storia delle banche centrali e dell’asservimento del genere umano;
  • Robert B. Stinnet – Il giorno dell’inganno;
  • George N. Croker – Lo Stalinista Roosevelt;
  • John T. Flynn – Il mito di Roosevelt;
  • David Irving – La guerra di Hitler;
  • David Irving – Apocalisse 1945, la distruzione di Dresda;
  • David Irving – Il piano Morghentau;
  • Luigi Cabrini – Il potere segreto;
  • Virginio Gayda – Italia Inghilterra;
  • Virginio Gayda – Gli Stati Uniti nella Guerra Mondiale;
  • Jean Montigny – La congiura contro la pace;
  • Enrico Montermini – Perfidia Albione;
  • Renzo de Felice – L’Italia fascista 1926-1939;9
  • Renzo de Felice – Fascismo, antifascismo, nazione;
  • Maurizio Rossetti – Chi decise la morte di Mussolini;
  • Viktor Suvorov – Stalin, Hitler e la Rivoluzione bolscevica mondiale;
  • Constantine Pleshakov – Il silenzio di Stalin;
  • Gianantonio Valli – Operazione Barbarossa;
  • Bruno Tomasich – Chi volle la Seconda Guerra Mondiale?;
  • Grigorenko Piotr – Stalin e la Seconda Guerra Mondiale;

Saggi in lingua inglese

  • David Irving – The War Path;
  • Francis Nielson – The Makers of War;
  • Ellen Hodgson Brown – The web of debt;
  • Pierre Virion – Une super et contre-Englise. Bientot un Gouvernement mondial (francese);
  • Gertrude Coogan – Money Creators;
  • Viktor Suvorov – The IceBreaker: Who started the Second World War;
  • Martin Allen – The Hitler-Hess Deception;

2 risposte a “LE VERE ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: PARTE II”

  1. Sono giapponese. Grazie per aver scritto un articolo così meraviglioso sul Giappone. All’inizio dell’operazione Barbarossa, il Giappone non era sicuro se attaccare l’Unione Sovietica. Tuttavia, l’attacco alla fine fu annullato a causa dell’interferenza delle spie del Comintern. Ciò permise all’Unione Sovietica di concentrare le sue forze in Occidente, determinando la sconfitta dell’esercito tedesco. Se il Giappone fosse stato in grado di attaccare in quel momento, la storia sarebbe stata molto diversa.

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    1. Buongiorno Sakamoto. Ti ringrazio di cuore per aver dedicato del tempo alla lettura dell’articolo. Sono d’accordo con te e sono onorato che queste parole arrivino da un giapponese. Da sempre un paese di grande cultura e saggezza, il Giappone ha avuto con Hiroito un periodo così florido che pochi possono vantare. Purtroppo però, la storia è stata scritta dai vincitori (che poi vincitori non sono, perché in realtà sono i veri assassini, coloro che la guerra l’hanno cercata e voluta), e così anche la verità sul Giappone di quei tempi è stata nascosta. Ma noi siamo qui perché questa verità venga alla luce.

      Un caro saluto dall’italia.
      A presto.

      Fox Allen

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